Orson Welles, il ricordo a cento anni dalla nascita del genio "ribelle" del cinema
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Regista, attore, soggettista, romanziere: il 6 maggio 1915 veniva al mondo il "meraviglioso bugiardo", che con i suoi film rivoluzionò la storia della Settima Arte
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Il 6 maggio 2015 a Kenosha, nel Wisconsin (Usa), nasceva uno dei cineasti più apprezzati e influenti della storia della Settima Arte: Orson Welles. A 26 anni rivoluzionò il modo di fare e concepire il cinema con un film considerato da molti il più bello della storia: Quarto Potere. Qualche anno prima, nel 1938, dimostrò le sue straordinarie doti di comunicatore "abbindolando" migliaia di americani con uno show radiofonico, La guerra dei mondi, in cui annunciava lo sbarco dei marziani sulla Terra.
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Gli omaggi del mondo del cinema - Sono numerosi omaggi tributati al grande "genio ribelle" in occasione del centenario della sua nascita. Tra questi spicca il ricordo dedicatogli dal festival di Cannes nell'ambito della sezione "Classic" con la proiezione di tre restauri eccellenti e due documentari inediti: "Orson Welles, Autopsie d'une légende" di Elisabeth Kapnist e "This Is Orson Welles" di Clara e Julia Kuperberg. I tre film che saranno proiettati in versione restaurata sulla Croisette sono: Quarto Potere, Il terzo uomo e La signora di Shanghai. A Roma verrà invece presentato il documentario "Roma la città di Orson Welles" di Ciro Giorgini, critico recentemente scomparso che a Welles ha consacrato molto del suo lavoro, mentre la Cineteca Nazionale ha organizzato le proiezioni di due suoi capolavori, il Macbeth e l'Otello.
Un ragazzo prodigio che fece la storia del cinema - Orson Welles non fu soltanto un regista. Attore, sceneggiatore, romanziere, soggettista, produttore, già dall'età di sei anni prese la strada dell'arte in qualità di caricaturista. come conferenziere a otto e poi si cimentò anche pittore e musicista. All'età di 14 anni vinse il suo primo premio per la recitazione. Un autentico ragazzo prodigio, che dopo la morte del padre nel 1930, a soli 15 anni, decise di partire per l'Irlanda per una sorta di "giro artistico", spostandosi con un carretto trainato da un asino. Artista "ribelle" e anticonformista, si è sempre imposto al pubblico per la genialità delle sue opere e un animo decisamente ostile alla "fabbrica dei sogni" di Hollywood. Insignito della Palma d'oro a Cannes nel 1952 e dell'Oscar alla carriera nel 1971, Weeles è stato votato dal British Film Institute nel 2002 come il più grande regista di tutti i tempi. Nella classifica dell'American Film Institute, inserito al sedicesimo posto tra le più grandi star della storia del cinema.
Da Quarto Potere al divorzio con Hollywood - La carriera come regista inizia nel 1941, con un capolavoro rivoluzionario come Citizen Kane, questo il titolo originale di Quarto potere. Un esordio alla regia straordinario e irripetibile che richiese tre mesi di riprese e nove di montaggio per un ribaltamento dei tempi di lavorazione che gli consentiva una frantumazione del linguaggio cinematografico convenzionale attraverso l'uso sistematico del "flash-back". Nel 1942, ancora grazie all'uso innovativo del Panfocus (tecnica di ripresa cinematografica che riesce a mantenere a fuoco più parti di un'inquadratura), gira L'orgoglio degli Amberson, una singolare storia di famiglia ambientata nel sud degli Stati Uniti. L'anno successivo con Terrore sul mar nero riesce a rendere ironico un film sostanzialmente di propaganda bellica. A guerra finita, si misura poi con Lo straniero, in cui veste i panni di un criminale nazista rifugiato negli States e, subito dopo, dà alla moglie Rita Hayworth un ruolo inedito ne La signora di Shangai, ovvero in quello di una dark lady senza alcuna anima e romanticismo e per giunta bionda. Nel 1948, in tre settimane, dirige un Macbeth demoniaco e low cost (girato in 21 giorni) che chiude la sua carriera a Hollywood, da lui stesso poi definito "un quartiere dorato adatto ai giocatori di golf, ai giardinieri, a vari tipi di uomini mediocri ed ai cinematografi soddisfatti: io non sono nulla di tutto ciò".
Cineasta visionario e indipendente - Nel 1952 il grande regista torna a Shakespeare realizzando un Otello cinematografico tra Italia e Nord Africa. Nonostante evidenti problemi di sovrappeso e l'etichetta di "gigantismo visionario" applicata al suo cinema, Welles prosegue imperterrito la sua "missione" dirigendo Rapporto confidenziale, in cui si descrive come una sorta di Kane lugubre, sia in L'infernale Quinlan, storia di un sadico questurino composta con accenti neroniani, sia in una interpretazione attualissima del Processo di Kafka. Nel 1975 è la volta di F for Fake, un mockumentary ("falso documentario" ndr) ante litteram, che rappresenta un'ode all'affabulazione, al bluff, al racconto filmico e all'esuberanza stilistica. Seguono una serie di film incompleti o di "fiaschi" commerciali, fino all'ultima regia cinematografica firmata per il documentario Filming Othello (1978), che racconta le riprese della sua stessa pellicola del 1952. Nel 1963 partecipa in qualità di attore ne La ricotta di Pier Paolo Pasolini, episodio del film RoGoPaG.
Le opere incompiute - Nonostante la vivacità artistica che ne ha contraddistinto la carriera, Orson Welles si lasciò dietro le spalle non poche creature incompiute, rimaste soltanto un bozzetto o un trattamento sulla carta oppure in forma di sopralluoghi filmati. Tra questi spiccano It's All True (1942) e il Don Quixote, girato nel corso di diversi anni e mai completato, probabilmente, a causa della scandalosa scena finale che il cineasta americano avrebbe voluto girare: una bomba atomica che avrebbe dovuto distruggere tutto il mondo, tranne i protagonisti. Nella "soffitta" della storia del cinema è finito anche The Other Side of the Wind, film rimasto incompiuto nel 1985 alla morte del suo autore e considerato da molti cinefili la pellicola più importante che non è mai uscita nelle sale. Si tratta di un film nel film che racconta il tentativo di un vecchio regista indipendente interpretato da John Huston di resuscitare la sua carriera battagliando contro l'establishment di Hollywood per finire un'opera iconoclastica.