Sono tornati qualche mese fa in silenzio, quasi di nascosto, con un cd pensato e registrato in poco più di qualche settimana. E ora via al tour...
I "nuovi" Pgr sono tornati qualche mese fa in silenzio, quasi di nascosto, con un cd pensato e registrato in poco più di qualche settimana tra "tavole perennemente imbandite" e vino rosso. Un'atmosfera che ricorda l'ambiente in cui era nata l'ultima produzione dei Cccp, Epica, etica, etnica e pathos, di cui questo lavoro, D'anime e d'animali, sembra a distanza di anni la continuazione, in particolar modo per quello che riguarda musiche e arrangiamenti.
I temi continuano a essere quelli cari alla poetica di Giovanni Lindo Ferretti, il cui percorso personale ormai lungo vent'anni attraversa la storia di Cccp, Csi e Pgr, che nel primo cd stava a significare "Per Grazia Ricevuta", mentre adesso la g è stata elevata al cubo e l'acronimo sta per "Però Giovanni, Gianni e Giorgio Resistono". Alla vigilia di un tour che li porterà il 16 novembre all'Alcatraz di Milano, il giorno successivo all'Hiroshima di Torino, il 18 al Vox club di Nonantola (Mo) e il 21 al Qube di Roma, abbiamo incontrato Ferretti.
Siete cambiati nella "forma", ma la "sostanza" del progetto rimane sempre la stessa o è mutata pure quella?
Rimaniamo io, che continuo a determinare le parole, Gianni Maroccolo e Giorgio Canali. Credo che i gruppi musicali si fanno più con le persone che con le tipologie musicali. Quello che resta sono coloro che restano, quello che cambia dipende da coloro che se ne vanno. Quando ci ha lasciato Massimo Zamboni (chitarrista dei Cccp e dei Csi, ndr) il progetto Csi non era più plausibile anche perché un ciclo era musicalmente finito. La partenza di Francesco Magnelli e di Ginevra Di Marco si è verificata a ciclo appena iniziato, ci ha obbligato a rigirarci su noi stessi perché i Pgr erano nati come un progetto musicale determinato dalla musica contemporanea, musica che noi volevamo colta e raffinata giocata sulla voce di Ginevra e il pianoforte di Magnelli. Partendo il pianoforte e la voce era ovvio che non si potesse più battere quella strada, per cui con uno sforzo di volontà e una capacità di capriolare ci siamo reinventati per necessità perché non ci sembrava il caso di finire una storia che in ogni caso non era ancora finita e abbiamo recuperato tutto quello che in questi anni, ma già ai tempi degli ultimi Cccp, si era perso, ossia la carica vitale, l'impostazione molto incentrata sulla classicità del rock and roll, basso, batteria, voce e chitarra. Ognuno con i suoi quattro strumenti in realtà per tante storie perché poi le persone si incontrano, e quindi a volte abbiamo due bassi e due batterie, e questo ci permette di rafforzare la parte ritmica e quindi la parte energetica di una storia.
Anche in "D'anime e d'animali" ricorre la parola resistenza. Qual è il valore che dai a questo termine?
In Italia la parola resistenza è quasi intoccabile, è fortemente storicizzata e ha dato origine a quello che è il mondo in cui oggi viviamo. Quest'anno ricorrono i 60 anni dell'inizio della Resistenza, è una parola da scrivere con la lettera maiuscola, è una Resistenza da cui è nata la Carta costituzionale, quella che permette ai cittadini di questo Paese bene o male, con più o meno problemi, di convivere. Quando io parlo di resistere in realtà dovrei dire reggere. Noi diciamo che resistono Giorgio, Gianni e Giovanni, questo è il primo impeto, poi se uno ci pensa meglio in realtà reggono. C'è un abuso delle parole importanti, che dovrebbero essere usate con molta più parsimonia.
Ma "resistere" oggi cosa vuol dire?
Accettata la differenza che con la stessa parola si possono indicare cose che sono tra di loro assolutamente contrapposte, resistere nella Resistenza ha voluto dire resistere nel modo più alto e plausibile, mettere in gioco la propria vita perché sia possibile vivere. Non è quello che tocca a noi. Resistere oggi vuol dire che ognuno è a sé, ognuno inventa il suo modo di resistere. Io utilizzo per me stesso e per le cose che mi stanno a cuore il verbo ritornare più che resistere, tornare a sé, alla propria origine, alla propria ragion d'essere. Non è un discorso politico-sociale, non m'interessa, non è nell'ordine delle mie riflessioni e dei miei problemi, fino al momento in cui sarà obbligatorio pensarlo, ma spero che ciò non sia mai necessario.
Tornare a se stessi, alle radici. Questo è un altro tema che ti sta molto a cuore, ne parli nella canzone "I miei nonni". Quanto è importante il legame con le proprie origini?
Io sono assolutamente stupefatto dall'insipienza e dalla stupidità di questo modo moderno di porsi di fronte all'esistenza. La stessa idea del single, che uno possa pensarsi tale, può essere pure comprensibile se è legato a un accadimento modaiolo, anche se rimane una stupidaggine. Ma non è dato agli uomini essere single, gli uomini sono parte di una storia che li precede e li segue. L'idea di chiamarsi fuori da questo è la stupidaggine più grande che si possa fare. Bisogna accettare la propria storia, accettarla vuole anche dire riconoscerla per abbandonarla completamente e fare altro, però se uno non la accetta vive in una superficie sciocca rispetto alla realtà. Noi dobbiamo fare pace con noi stessi, con chi ci ha preceduto, con i nostri genitori, con i nostri nonni, con le nostre storie. Fare la pace non vuol dire che dobbiamo essere quello che loro avrebbero voluto che noi fossimo, ma vuol dire semplicemente che bisogna riconoscere comunque che nasciamo dal niente con uno sforzo di volontà e che siamo partecipi di una storia che è molto più grande di noi. Fino a che non ci rendiamo consapevoli di questo non avremo la più pallida idea di cosa voglia dire vivere come esseri liberi, consapevoli, poter decidere di fare l'esatto contrario di quello che hanno fatto quelli ci hanno preceduto, ma mai senza riconoscere i loro meriti.
Con molta ironia ti dichiari un "orfano di sinistra", sei disposto a farti adottare?
Io conosco bene la condizione di orfano, perché ho passato la vita senza un padre, ma tenevo famiglia, non mi sono mai sentito abbandonato, solo. Semplicemente mi mancava una figura paterna ma ce n'erano altre accanto a me che assorbivano perfettamente quella necessità, erano in grado di passarmi tutto l'amore, tutto l'affetto che serve a un bambino per crescere. Quindi ho idea di quello che voglia dire essere orfano nella vita quotidiana. E' quello che è. Sarebbe meglio avere i genitori? Non c'è dubbio, però ci sono anche dei genitori per cui sarebbe meglio che i figli fossero orfani. Io politicamente da un po' di tempo in qua mi sento orfano, perché il mondo politico ideale a cui facevo riferimento è morto, non c'è più, io l'ho seppellito, non rinascerà. Io una famiglia ce l'avevo e non ho nessuna voglia di farmi adottare da una famiglia nuova che arriva perché non ne ho bisogno, sono abbastanza grande per sopravvivere. Ho ben presente quale è la famiglia politico-sociale-ideale-culturale- in cui sono stato allevato. Quella famiglia è morta, si è schiantata contro un muro, magari era anche ora. Ma ora che ho perso la mia famiglia di appartenenza non ho nessuna voglia di cercarne un'altra, perché si rischia di trovarne una che è l'esatto opposta di quella in cui si è cresciuti, allora è molto meglio rimanere orfani, con tranquillità e consapevolezza.
Una decina di anni fa cantavi "Occidente alla guerra, alla gloria, alla storia". Riletta oggi quella strofa ha il sapore di una terribile profezia...
Così come uno accetta la storia che lo precede, bisogna che accetti che si è parte di altre cose, non solo di una storia familiare ma di una storia nazionale, di una serie di accadimenti che si sono succeduti nei secoli e che hanno prodotto sedimentazioni di cui non ci si libera per uno sforzo di volontà. Si può provare, tentare. Anche il Papa dice che il comunismo è stato un male necessario, e sarebbe bello riflettere a lungo su questo sostantivo, male, e su questo aggettivo, necessario. Io tra l'altro concordo con lui, da quando l'Unione Sovietica è crollata, che fosse un male che comunque andava attraversato rispetto alla storia europea. Ma gli uomini non possono fare più di tanto. Ci sono molte più cose sulla terra e molto più complesse, e allora balena l'idea di tirarsi fuori, l'idea dello struzzo, che pure è un animale bellissimo, ma nasconde la testa quando non vuole vedere le cose. La storia obbliga a fare dei conti con saggezza, intelligenza, misericordia, con tutta la capacità positiva che l'uomo possiede, e tra queste metto anche la forza, che è una necessità legata alla sopravvivenza dei singoli, delle famiglie, dei popoli. Non tocca a me dire quello che bisogna fare, grazie a Dio non ho responsabilità che derivino da un potere politico e sociale. Credo che siamo nell'orlo di un baratro da tempo, e si naviga a vista. Ci giochiamo l'esistenza come società, come idea di quotidianità. Ci sono modi di vita molto diversi tra di loro che si stanno preparando a combattersi, ognuno farà la sua parte.
Il cd finisce con "Si può", una canzone che prelude a un poi...
Si può molto di più di quanto noi realizziamo ogni giorno. Si può essere liberi sulla terra, si può vivere al meglio la condizione umana, per i tempi che ci sono dati. Si può uscire di casa, partire e non tornare più così come tornare a casa e scoprire che potresti fare bene. Si può fare tutto perché gli uomini sono stati creati liberi, a immagine e somiglianza di Dio. Un discorso complesso ma vero. Quindi godono di libero arbitrio, possono fare cose inverosimili, ma su di loro, non lo possono sulle società in generale. Queste cambiano perché cambiano gli uomini. Non è plausibile portare il paradiso sulla terra, è plausibile vivere molto degnamente la condizione umana, e non tutto è riducibile alla politica. La politica a volte obbliga a delle scelte inevitabili, ma solo a volte. Ma la vita è molto di più.