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Scuola, parla Valditara: "Lavoro per una scuola che metta al centro lo studente: più orientamento, meno docenti precari, lotta alla violenza"

In un’intervista a Skuola.net il Ministro dell’Istruzione e del Merito illustra le iniziative, già messe in campo o ancora da realizzare, per rispondere alle maggiori richieste della popolazione studentesca

Scuola, parla Valditara: "Lavoro per una scuola che metta al centro lo studente: più orientamento, meno docenti precari, lotta alla violenza" - foto 1
Ansa

Benessere psicologico, continuità didattica, orientamento, più spazio alla pratica a scuola, lotta al bullismo.

Queste alcune delle priorità su cui gli studenti si sono espressi, in modo chiaro, per provare a migliorare la scuola. In una recente “assemblea” online organizzata dal loro portale di riferimento Skuola.net - un sondaggio che ha visto la partecipazione di oltre 6 mila alunni di scuole medie superiori - le ragazze e i ragazzi hanno infatti posto l’attenzione su quali, a loro modo di vedere, dovrebbero essere le priorità per rendere più sano e al passo coi tempi l’ambiente scolastico. Nel loro “programma” c’è un po’ di tutto: dal benessere mentale al modello di valutazione, dalle modalità di svolgimento della didattica all’orientamento, dalla questione docenti alla lotta alla violenza a scuola.

 

Gli studenti chiamano, il Ministro risponde

 

Ma come avrà intenzione di dare seguito, concretamente, a questi input il destinatario del messaggio, il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara? Nel suo piano d’azione ci sarà spazio per una o più di queste richieste? E, in caso di risposta affermativa, in che modo si concretizzerà la sua azione? A dare la risposta è lui in persona, nel corso di una lunga intervista rilasciata alla stessa Skuola.net, che ha affrontato punto per punto i temi suggeriti dagli studenti.

 

Attualmente, la priorità “numero uno” per gli studenti è che la scuola abbia cura del loro benessere psicologico. Cosa gli può dire a riguardo?

 

“L'obiettivo prioritario che mi sono proposto come Ministro è proprio quello di realizzare una scuola “costituzionale”, che metta al centro la persona dello studente. Sembrerebbe un obiettivo scontato, ma non lo è. E per mettere al centro la persona dello studente, dobbiamo anche riportare nelle scuole un clima di serenità. Proprio quel benessere psicologico che favorisce rapporti positivi fra docenti e studenti”.

 

In che modo si può lavorare per realizzare questo obiettivo? Qual è la sua ricetta?

 

“Intanto ribadire il valore del rispetto, verso i compagni e verso i professori, che è essenziale per creare un clima sereno in cui crescere e lavorare bene tutti insieme. E poi con la personalizzazione della formazione, da cui nasce l’introduzione del docente tutor: una figura appositamente formata che mira a individuare, in un lavoro di team con gli altri docenti della classe, un piano formativo fatto su misura del singolo studente, per consentirgli di recuperare laddove abbia dei ritardi o di accelerare laddove in classe si annoi perché è già più avanti. Insomma, che tenga conto di quelli che sono i suoi talenti, i suoi sogni, le sue aspirazioni, le sue fragilità, accompagnandolo, con gli altri docenti, nella sua crescita anche psicologica”.

 

Un impianto didattico che risponda ai bisogni dello studente può bastare? O serve anche dell’altro?

 

“Una scuola in cui vi sia positività, benessere e serenità ha anche il compito di valorizzare quelle attività che sono complementari, ma importanti, per entusiasmare e coinvolgere lo studente. Penso per esempio al teatro o alle attività sportive. Ci sono poi molte situazioni di particolare difficoltà, dove il disagio non è soltanto legato al quotidiano della scuola ma anche alla realtà sociale in cui si vive. Da qui, per esempio, ‘Agenda Sud’, per affrontare il tema della dispersione scolastica e dell’inclusione di giovani che arrivano da contesti difficili”.

 

Tra le esigenze principali degli studenti, c'è anche il bisogno di avere una scuola meno teorica e più pratica. Il suo ministero ha in programma di fare qualcosa su questo?

 

“Un'attenzione specifica alle attività più concrete, come quelle laboratoriali, l'abbiamo già messa, ad esempio, nelle linee guida per l’insegnamento delle discipline STEM, dove abbiamo rovesciato l'impostazione: partire dalla realtà delle cose per arrivare alla teoria. Se, infatti, io docente parto da esempi concreti e poi li spiego con i principi della fisica e con le formule matematiche, tutto risulta più costruttivo. E poi è fondamentale la laboratorialità, dando importanza all'esperimento. In sintesi, una scuola meno astratta, meno teorica, più vicina alla vita di tutti i giorni”.

 

Agli studenti sta molto a cuore anche una scuola che prepari al lavoro e al futuro attraverso efficaci attività di orientamento. Come fare per accontentarli?

 

“Abbiamo concepito un’altra nuova figura didattica, quella del docente orientatore, un insegnante che, alla luce delle opportunità formative e occupazionali del territorio e delle predisposizioni e abilità del giovane, orienti studenti e famiglie. Il docente orientatore avrà il compito di suggerire i percorsi di studio più attinenti e quindi, anche in prospettiva, i percorsi lavorativi più adatti a realizzare le aspirazioni e le potenzialità dello studente. Abbiamo formato alcune migliaia di docenti orientatori che sono presenti negli ultimi tre anni delle scuole superiori, ma vogliamo portarli anche a tutto il percorso della secondaria di primo e di secondo grado. Inoltre già ora ci sono anche 30 ore ogni anno dedicate proprio all’orientamento”.

 

Ha destato molta curiosità la riforma dell'istruzione tecnico e professionale. Come nasce?

 

“Da due constatazioni: da un lato vi sono studenti che hanno delle straordinarie potenzialità nel campo tecnologico, potenzialità che restano a volte inespresse perché le scelte fatte nel percorso di studi non sono quelle giuste, e questo spiega anche perché puntiamo molto sull’orientamento; dall’altro, vi sono aziende che non riescono a trovare quelle professionalità qualificate di cui il sistema produttivo ha bisogno: attualmente non si trova il 50% dei profili richiesti dalle imprese”.

 

Può spiegare come funziona, all’atto pratico?

 

“Per la riforma ci siamo ispirati ai migliori modelli stranieri, che prevedono quattro anni di scuola superiore e non cinque. Ciò vuol dire che si va un anno prima all'università o all’ITS, oppure si entra direttamente nel mondo del lavoro. Con una preparazione molto robusta: i nuovi percorsi della sperimentazione tecnica e professionale non riducono semplicemente il programma quinquennale, comprimendolo in un quadriennio, ma offrono programmi nuovi. Non solo, abbiamo registrato che in italiano, matematica e inglese vi erano delle criticità, così abbiamo potenziato queste discipline, anche grazie alla possibilità di avere un maggiore contributo dei docenti sulla classe visto che la riforma avverrà a invarianza di organico. Ci sarà poi molta internazionalizzazione, con esperienze all'estero o magari stranieri che vengono in Italia. Ma, soprattutto, ci sarà un rapporto molto stretto con le aziende, intensificando l’alternanza scuola-lavoro, aprendo, parallelamente, alla presenza di esperti provenienti dal mondo del lavoro e puntando molto sui laboratori e le discipline professionalizzanti. Per la prima volta, infine, sarà prevista anche una direzione del Ministero che stimolerà le scuole a fare ricerca e innovazione, per far cimentare gli studenti nella creazione di progetti, servizi, prodotti”.

 

Altro capitolo molto sentito dagli studenti è quello della continuità didattica. In molti si chiedono, ma perché ogni anno cambiamo i prof?

 

“Il tema della continuità didattica è per noi fondamentale. Proprio per questo ci siamo posti l'obiettivo di assicurare la regolarità delle assunzioni. Nel 2023 abbiamo assunto oltre 40.000 insegnanti, oltre 27.000 per posti comuni e oltre 13.000 per posti di sostegno. Nei prossimi tre anni, inoltre, prevediamo di assumere altri 70.000 docenti, una parte importante già da settembre 2024, fra l'altro con alcune novità che faranno certamente piacere agli studenti. La valutazione dei nuovi docenti, infatti, sarà fatta anche considerando l'anno di tirocinio e io personalmente ho raccomandato che tale valutazione dovrà essere seria”.

 

Sempre nell’ottica della continuità didattica, ci saranno novità anche sul fronte del “sostegno”?

 

“Sui posti di sostegno, per quanto riguarda le assunzioni di docenti di ruolo, abbiamo previsto la permanenza per tre anni nella sede. Quindi i neo assunti, quei 13.000 insegnanti di sostegno che sono stati arruolati nel 2023, dovranno rimanere sulla loro sede per un triennio. Ma l'idea è di estendere tale meccanismo anche agli insegnanti precari. Laddove i genitori, le famiglie saranno soddisfatti della relazione che si è instaurata con lo studente, si potrà chiedere alla scuola di confermare per tre anni il docente di sostegno, ovviamente laddove lui sia d'accordo”.

 

Spesso accade che i docenti cambiano sede per via dei costi eccessivi da sostenere se assegnati in zone particolarmente care, specie se lontane da casa. Cosa si può fare?

 

“Effettivamente è una dinamica che incide. Dobbiamo immaginare degli incentivi, simili a quelli che, ad esempio, abbiamo realizzato su altre zone critiche come le aree di montagna, dove pochi docenti vogliono andare a insegnare per gli evidenti disagi a cui andrebbero incontro. Abbiamo previsto per questi casi di defiscalizzare le spese per l'affitto dell'appartamento. Immaginando anche un punteggio aggiuntivo per il servizio reso. La stessa cosa la stiamo costruendo nell'ambito di ‘Agenda Sud’ per le scuole di frontiera”.

 

Chiudiamo con delle considerazioni sulla violenza a scuola, ormai dilagante, tra aggressioni a studenti e docenti ed episodi di bullismo: come fare per debellarli?

 

“Questo è uno dei temi che mi stanno più a cuore. Perché la scuola “costituzionale” è anche quella che educa al rispetto verso la persona. E quindi è una scuola che non può accettare la violenza. Attualmente è in discussione al Senato il disegno di legge governativo che “prescrive” per i bulli più scuola e non meno scuola. Sospendere il bullo significa fargli un favore. Colui che commette atti di violenza, invece, deve riflettere sul perché ha sbagliato. Oltre a studiare, deve anche sviluppare un elaborato in cui dimostri di aver compreso l’errore. Laddove i fatti siano un più gravi, quindi per sospensioni superiori ai due giorni, invece, non basterà soltanto più scuola ma ci vorrà anche un'attività di cittadinanza solidale: servizi nelle mense per poveri, nelle case di riposo, per anziani, negli ospedali o anche semplicemente lavorando nel giardino della scuola. Questo proprio per capire l'importanza dell'altro, la solidarietà, il fatto che non si è isolati con la propria individualità, ma si è parte di una comunità”.

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