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Ministro della Cultura: Dario Franceschini

Terza volta alla guida del dicastero dei beni culturali: è il più longevo

Governo Draghi, ecco tutti i ministri

Nel febbraio del 2014, fresco di giuramento al Quirinale, Dario Franceschini, avvocato di formazione, politico di professione, ma anche appassionato romanziere, stupì i cronisti definendo i beni culturali che si accingeva a guidare "un ministero dell'economia". Un assunto che nei quasi quattro anni del suo primo mandato e poi nei 18 mesi circa del secondo (nel quale alla cultura si era aggiunto il turismo) ha cercato in tutti i modi di mettere in pratica. 

Con una rivoluzione nel mondo dei musei che - almeno fino all'arrivo della pandemia e quindi dei lockdown - ha fatto crescere di molto i visitatori, creando pure polemiche e più di una insofferenza tra i ranghi del dicastero fondato nel 1975 da Giovanni Spadolini, tanto che ultimamente, sottolineando il record dei suoi ben 1707 giorni in carica da ministro della cultura, c'è chi non ha esitato a definirlo "Re Sole". 

 

Solo Antonio Gullotti, nel Craxi I e II e poi nel Fanfani IV si è avvicinato con un totale di 1454 giorni. Tant'è, i suoi interventi per lo spettacolo, per il cinema prima di tutto con la nuova legge e tanti interventi di defiscalizzazione, gli hanno garantito appoggio e lealtà di un settore di forte peso, che il ministro pd ha sempre dimostrato di voler ascoltare, come ha fatto nelle scorse settimane, intervenendo a gamba tesa su Sanremo per ricordare che i teatri sono tutti uguali e che l'Ariston, in una situazione difficile per tutti, non può certo fare eccezione.

 

Protagonista di primissimo piano nel governo Conte - dove ha avuto il ruolo di capo delegazione Pd - e poi nei giorni della crisi, non ha di fatto mai lasciato le sue stanze ai beni culturali, dove teneva moltissimo a ritornare per completare il progetto, avviato ormai 7 anni fa, che dovrebbe fare davvero del Collegio Romano un dicastero economico a tutti gli effetti. La strada del resto per il nuovo "ministero della cultura" si è fatta ora più lunga e impegnativa, con i settori che avrebbero dovuto garantire la ricchezza del Paese che sono stati tra quelli più martoriati dal disastro Covid. Libero dai nodi del turismo, che Draghi ha affidato a Massimo Garavaglia, Franceschini dovrà impegnarsi per i teatri "da troppo tempo chiusi", come gli ha ricordato ieri il maestro Muti. 

 

E per il cinema che in questi mesi è riuscito a portare avanti la produzione (lo sottolineava il presidente dell'Anec Francesco Rutelli) ma deve fare i conti con le sale chiuse. Svuotati dall'epidemia e dai decreti, a lungo con le porte serrate, soffrono i musei e le aree archeologiche, che anche con la riapertura faticano a trovare visitatori. Il mondo degli studi lamenta il disastro delle biblioteche, di fatto poco o niente accessibili, così come gli archivi. Le orchestre piccole e grandi sono ferme, i palchi deserti. E sono fermi anche i concorsi che avrebbero dovuto garantire nuovo personale ad un ministero svuotato dai pensionamenti e da anni di mancato turn over.

 

Nel 2014 in ottimi rapporti con l'allora presidente del consiglio Matteo Renzi, poi via via assai meno, Franceschini, in politica dai tempi della scuola, papà partigiano bianco poi deputato della Dc e grande ammirazione per Pierluigi Castagnetti, è stato spesso definito "uomo del dialogo". E questa sua propensione alla mediazione, che gli ha garantito un ruolo fondamentale nel governo giallo rosso, potrà tornargli utile ancora una volta nel governo Draghi.

 

Ferrarese, classe 1958, padre di tre figlie amatissime, appassionato di jazz, il neo ministro della cultura è sposato in seconde nozze con Michela Di Biase, ex consigliere Pd in Campidoglio e alla Regione Lazio. Nella sua vita, ha detto altre volte, due grandi passioni, "la letteratura e la politica, due universi che non si incontrano, ma ai quali non intendo rinunciare". La fortuna di scrivere, ha detto in un'altra occasione, "sta nel mettersi dentro a tante vite". 

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