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Gli italiani a Dacca nella testimonianza di Valentina Lucchese

La 34enne lavora in Bangladesh per lʼonlus Terre des Hommes e spiega a Tgcom24 il clima che si respirava nel quartiere diplomatico di Gulshan

A raccontare ai microfoni di Tgcom24 la piccola comunità italiana attiva a Dacca, Bangladesh, è la 34enne Valentina Lucchese, dal 2014 rappresentante di Terre des Hommes, l'onlus per la quale gestisce la sede locale.

Insieme alla project manager di un programma cofinanziato dall'Unione europea, nel paese asiatico si occupa di educazione, in particolare di accesso all'istruzione primaria e secondaria.

Con il suo gruppo di lavoro, si adopera anche per le donne bengali che vivono forti discriminazioni: "Lavoriamo per permettere alle ragazze di muoversi nel paese e diamo loro appoggio: quella locale è una società molto complessa in cui le persone più abbienti sono molto libere, frequentano le scuole inglesi e sono esposte alla cultura occidentale. Ma nelle classi più basse, nei villaggi e nelle baroccopoli invece, ci sono molte limitazioni alle libertà delle ragazze e proviamo a formare le donne, a dare loro una maggiore consapevolezza e autonomia anche economica".

Com'è formata la comunità italiana presente a Dacca?
Si tratta di circa trecento persone, la maggioranza delle quali lavora come buyer del settore settile: fanno da intermediari tra grandi brand internazioni e i produttori locali di stoffe pregiate. Poi ci siamo noi operatori delle  ong e dell'Unione europea, una ventina di persone, e infine i dipendenti delle ambasciate. Ci conosciamo tutti proprio grazie all'ambasciata che organizza diversi eventi. Gli imprenditori dei tessuti di solito sono molto legati: purtroppo conoscevo alcune persone all'interno del ristorante assalito dai terroristi, in particolare l'imprenditore Gianni Boschetti (il sopravvisutto all'assalto, ndr) che era lì con la moglie e un cliente. In città erano persone molto conosciute perché si erano trasferite in Bangladesh da oltre 20 anni. Siamo molto in ansia per la moglie: al momento la speranza di trovarla viva si è ridotta al minimo ma restiamo cauti. Amici comuni mi tengono in csotante aggiornamento.

Quale tipo di locale era l'Holey Artisan Bakery, lo ha mai frequentato?
Era il locale più in voga in questo momento, piaceva molto agli occidentali anche se il proprietario è un bengali. Era diventato di moda come panetteria che preparava pane e croissant buonissimi, ma da circa un anno era diventato anche un ristorante con un grande spazio all'aperto, vicino al lago: un bel posto dove andare a cena, sempre pieno di stranieri. Scherzavamo sul fatto che se fossimo stati terroristi avremmo preso di mira proprio questo posto: una bellissima villa con parco, un obiettivo facile, con l'ingresso da una strada cieca. 

Avevate paura di attacchi simili?
Di questo tipo no, credevamo che sarebbe passato un po' di tempo prima di arrivare a tale punto. C'erano stati diversi attacchi mirati dopo l'uccisione di Cesare Tavella, il cooperante italiano assassinato a colpi di pistola il 28 settembre 2015 mentre faceva jogging in una strada di Dacca. Ci chiedevamo: Se è vero che l'Isis è davvero in Bangladesh, perché non fa un attacco? Alla fine è arrivato.

Gli occidentali a Dacca osservavano norme di comportamento particolari?

Non vivevamo blindati ma il quartiere diplomatico di Gulshan è stato sempre protetto dall'esercito. Quando mi muovevo per seguire i nostri progetti sul territorio e magari mi capitava di raggiungere il Nord del paese, mi veniva imposta una scorta della polizia. C'erano già regole sugli spostamenti la sera, non ferree ma di prudenza. Ci sentivamo tutelati, ma avevamo anche molta cautela: dopo gli episodi contro alcuni blogger e attivisti dei diritti umani, il governo ha fatto passare il messaggio che le persone colpite si erano meritati la fine fatta. C'è sempre stata parecchia ambivalenza da parte delle istituzioni, mai una condanna ufficiale e decisa dei fatti di sangue.

Quale schenario immagina per il Bangladesh alla luce di questo tremendo attentato?
Miei conoscenti che hanno operato sia in Bangladesh sia in Afghanistan mi hanno raccontato di aver visto la stessa escalation: negli ultimi dieci anni Dacca si è molto trasformata, speriamo che non diventi come Kabul. Le cellule terroistiche non possono avere la meglio sulla cultura bengali che è molto aperta e favorevole alla convivenza delle religioni. Sicuramente tornerò al lavoro, ho già un biglietto aereo per rientrare a Dacca, ma vediamo come si evolverà la situazione.