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Pyongyang: nessun caso politico o rapimento, la figlia dell'ambasciatore odiava il padre

La lettera del governo nordcoreano: "La ragazza odiava i genitori per averla abbandonata e per questo aveva insistito per rientrare in Corea del Nord dove lʼattendevano i nonni"

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L'ex ambasciatore nordcoreano Jo Song Gil "non aveva alcun motivo politico" per disertare.

E sua figlia "odiava i genitori perché la lasciavano a casa da sola" e voleva "tornare a Pyongyang dai nonni", dove è ora e "sta bene" anche se sottoposta "a cure". Lo ha spiegato il successore di Jo all'ambasciata in Italia, Kim Chon, in una lettera al presidente dell'Unione interparlamentare Italia-Nord Corea, respingendo la tesi del "rapimento".

Nella lettera il nuovo reggente dell'ambasciata nordcoreana a Roma afferma che il suo predecessore "aveva lasciato l'ambasciata la sera del 10 novembre 2018, dopo un litigio familiare con la moglie Ri Kwan Sun, a causa dei disturbi mentali che affliggono la figlia, Jo Yu Jong". E la mattina dopo, "insieme alla moglie, si è allontanato dalla sede dell'ambasciata, dove risiedeva con la famiglia, senza farvi più ritorno e facendo perdere le proprie tracce, mentre la figlia è rimasta" in ambasciata.

La ragazza, ha aggiunto, "odiava e rimproverava i suoi genitori per averla abbandonata e per questo aveva insistito per rientrare a Pyongyang dove l'attendevano i nonni". E "siccome aveva già interrotto gli studi liceali a marzo del 2018, in vista della conclusione del mandato del padre, lo scorso 14 novembre è rientrata tranquillamente in Corea accompagnata da personale femminile". La ragazza "era molto contenta di tornare presto dai nonni, ed ho ricevuto un messaggio dalla sua famiglia in cui mi dicono che sta bene ed è momentaneamente sottoposta a cure mediche".