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La Turchia vieta il Gay Pride per il settimo anno di fila | Ecco gli altri Paesi che si oppongono

Dall'Arabia Saudita alla Nigeria, la maggior parte degli Stati sono in Asia e Africa, ma ci sono alcuni casi anche in Europa

Tokyo Rainbow Pride Gay Lgbt parata Giappone
ansa

La Turchia vieta il Gay Pride per il settimo anno consecutivo. La marcia era prevista per domani nel quartiere di Maltepe, nella periferia asiatica di Istanbul, ma le autorità l'hanno ritenuta "non appropriata" per ragioni di sicurezza e ordine pubblico. L'evento, secondo loro, avrebbe potuto portare ad "eventi ed azioni provocatori". Non è però dell'unico Paese nel mondo che si oppone alle manifestazioni LGBT.

Il corteo di Istanbul si terrà comunque: "Non potranno impedire alle persone Lgbt di riunirsi e rendersi visibili" dicono gli organizzatori. Già negli scorsi giorni, la polizia è intervenuta per disperdere cittadini e fermare  alcuni degli attivisti. Non è la prima volta in Turchia: fino al 2014 il Pride ha portato in piazza migliaia di persone pacificamente, ma dall'anno successivo la marcia è stata messa al bando e la repressione delle forze dell'ordine è stata durissima.

 

La Turchia è uno dei pochi stati dell'area mediorientale a considerare legale l'omosessualità. Il governo conservatore di Erdogan sta facendo molti passi indietro in materia di diritti civili. Il suo Governo non è però il solo a vietare anno dopo anno la Marcia dell'Orgoglio Lgbt. Tra i Paesi delle Nazioni Unite sono 69, cioè quelli che considerano un reato i rapporti tra persone dello stesso sesso.

 

In alcuni di questi però, come in Tunisia, si tratta soprattutto di una formalità e le manifestazioni si tengono comunque. In altri 37 stati africani la partecipazione al Pride è fortemente contrastata. Le azioni più decise, e spesso sanguinose, in questo senso avvengono Nigeria, Kenya e Uganda.

 

In Asia sono 21 i Paesi in cui è illegale sventolare la bandiera arcobaleno. Tra loro alcuni importanti partner politici e commerciali dell'occidente, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ma anche Iran, Afghanistan e Yemen, stato in cui non si è mai tenuto un corteo Pride, anche in via non ufficiale. In tutti questi, persino in quelli apparentemente più moderni, vige la Sharia, la legge sacra islamica, che vieta ogni tipo di comportamento omosessuale.

 

Più ad Est, c'è la contrarietà alla marcia del regime militare del Myanmar e quello nordcoreano di Kim Jong-un. Anche in Cina, dove fino al 2019, per dieci anni, si è tenuto uno dei cortei più rappresentativi al mondo, lo Shangai Pride, la manifestazione del 2020 è stata annullata. A quella di quest'anno è toccata la stessa sorte.

 

In Europa la situazione non va molto meglio. La Russia, nonostante i ripetuti appelli della Corte europea dei diritti dell'uomo, il tribunale di Mosca nel 2012 ha proibito la marcia Lgbti+  per i successivi 100 anni. Il Pride è illegale anche a San Pietroburgo. In Polonia invece il divieto, imposto a Varsavia nel 2005, è stato dichiarato illegale, mentre in Ungheria, nonostante la discussa legge anti Lgbti+ e l'atteggiamento conservatore del governo Orbàn, le manifestazioni si svolgono regolarmente.

 

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