Assemblea Onu condanna l'ex Birmania per gli abusi sui Rohingya
Il documento non è vincolante. Dura replica del Myanmar (che considera i Rohingya migranti illegali): "Dalle Nazioni Unite ingerenze politiche"
L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che condanna le violazioni dei diritti umani perpetrati dalla ex Birmania contro la minoranza musulmana dei Rohingya, che comprendono arresti arbitrari, tortura, stupro e morti in detenzione.
Il documento è stato approvato a Palazzo di Vetro a New York con 134 sì su 193 Paesi rappresentati contro 9 no e 28 astensioni.
La risoluzione si preoccupa anche delle minoranze etniche presenti in altri stati della Birmania: oltre a Rakhine, dove vivono i Rohingya, ma anche Kachin e Shan. Il Myanmar non considera i Rohingya una minoranza autoctona e nega loro anche il nome, ma li ritiene dei "migranti illegali", entrati dal vicino Bangladesh. Paese dove oggi in campi profughi vivono circa 700mila di loro, costretti a lasciare la Birmania negli ultimi tre anni, incalzati da una campagna militare che l'Onu ha condannato come "pulizia etnica".
La Corte penale internazionale dell'Aja dell'Onu, su denuncia del Gambia, ha istruito un'inchiesta per "genocidio" nei confronti della Birmania: accuse alle quali all'Aja ha di recente risposto, negandole, la leader "de facto" birmana, Aung San Suu Kyi, ex pasionaria dei diritti civili ed ex Nobel per la Pace, alla quale la comunità internazionale rimprovera un colpevole silenzio nei confronti delle azioni di militari del suo Paese contro la minoranza musulmana.
Le risoluzioni dell'Assemblea generale Onu non sono vincolanti, ma riflettono generalmente l'opinione diffusa nel mondo. L'ambasciatore birmano all'Onu, Hau Do Suan, ha definito il documento di condanna "un altro classico esempio di 'due pesi e due misure', che applica principi sui diritti umani in modo parziale e discriminatorio" per "esercitare pressione politica non richiesta sulla Birmania".
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