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Justine, tra sesso e indipendenza

"Justine 2.0", romanzo dʼesordio di Elena Bibolotti, aggiorna il modello di De Sade, muovendosi tra eros, attualità e potere

Da qualche tempo la letteratura sembra aver scoperto l'erotismo. Il successo ottenuto dalle tante sfumature della signora James ha provocato un diluvio di trilogie, il più delle volte dozzinali nella qualità letteraria quanto artificiose nei soggetti e nei protagonisti che le dovrebbero animare. Il risultato è che, nel mare magnum della letteratura erotica odierna, si rischia di perdere di vista le poche pagine che raccontano veramente qualcosa. Come fa Elena Bibolotti in "Justine 2.0 - Il cuore è soltanto un muscolo", uscito ai primi di giugno per Ink edizioni.

Come tutta la letteratura di genere ben fatta, il libro della Bibolotti può definirsi erotico giusto per comodità di catalogazione, perché racconta in realtà molto di più di torridi amplessi, pratiche ginniche e rapporti di sottomissione accettati al solo fine di riscattare l'altro dal peso enorme che porta nel cuore. Con un modello di riferimento, esplicito sin dal titolo, come la Justine del Marchese De Sade, il romanzo si sviluppa nell'arco di sette giornate, nel corso delle quali prende corpo la storia di una donna che, reduce dal fallimento di un matrimonio e alla ricerca di un lavoro, deve trovare il denaro per evitare lo sfratto ormai imminente. In un continuo passaggio tra passato e presente, reale e virtuale, con il monitor del computer a fare al tempo stesso da compagno e mezzo per trovare rapporti liquidi con la speranza che si trasformino in solidi per risolvere tutti i problemi, Justine si trova ad avere a che fare con molti dei personaggi meschini e ipocriti che popolano la nostra società: politici dalla credibilità erotica ormai prossima a quella che hanno come uomini di Stato, professori universitari, artisti. Tutti che usano la propria posizione di potere per avere sesso in cambio di favori più promessi che mantenuti. Con Roma (quella di ieri e di oggi) a fare da sfondo ma anche protagonista essa stessa.

Justine è naturalmente portata alla seduzione, sessualmente libera e intraprendente sin da giovanissima, e il sesso è il filo conduttore della sua storia. Ma la Bibolotti lo racconta con allusioni e accenni, la cui capacità evocativa si trova nella qualità della scrittura e nelle immagini suggerite, con rari e ponderati colpi di acceleratore sul fronte del linguaggio e delle descrizioni. Nessuna ritrosia o moralismi, in fondo il modello è De Sade e tra le pagine di “Justin 2.0” spesso i rapporti prendono pieghe sconosciute anche ai parvenu del BDSM. Punto centrale della storia della novella Justin è il suo rapporto di sottomissione, incarnato nel Master, l'uomo a cui è legata e che rappresenta per lei l'eterna attesa, l'inevitabile pietra di paragone. Non ci sono miliardari belli, alti e biondi che si trastullano in camere dei giochi, ma un rapporto di master/slave di totale sottomissione e devozione, stretto come con un cinghia i cui fori si trovano prima di tutto nella mente di Justine. Tra ricerca di denaro e di indipendenza, si corre verso un finale dalle molteplici sorprese. Per arrivare alla conclusione che il cuore, in fondo, è soltanto un muscolo. E che, anche l'eros, lo si può raccontare senza lasciare da parte la letteratura.