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"Io non sono Islam", la volontà di riscatto di una vittima della Sharia

La graphic novel racconta la storia di Islam Mitat, "la sposa di Isis", che ha rischiato la morte per assicurare ai suoi figli una vita lontana dallo Stato Islamico. Lʼintervista alla scrittrice Benedetta Argentieri

"Io non sono Islam", la volontà di riscatto di una vittima della Sharia - foto 1

"Al contrario di molte donne, Islam è una vittima.

La sua è una storia di coraggio e forza di volontà. Volevamo che adulti e giovanissimi potessero vedere e toccare cosa vuol dire essere intrappolati nello Stato Islamico". Si leggono queste parole nell'introduzione di "Io non sono Islam", graphic novel scritta da Benedetta Argentieri e illustrata da Sara Gironi Carnevale. L'opera, edita da Adriano Salani Editore, ripercorre il viaggio di Islam Mitat, dalla promessa di matrimonio, passando per la prigionia nelle Madafa - le "case delle donne", dove vedove e giovanissime attendevano di trovare un marito - fino alla liberazione grazie all'aiuto dello YPJ, l'Unità di Protezione delle Donne appartenente alle forze militari curde.

"Non ho molto tempo - mi dice Benedetta quando la raggiungo al telefono - sono in Iraq e dovremo essere veloci". Giornalista, regista e reporter di guerra con sede a New York, dal 2014 racconta dal campo la situazione in Iraq e in Siria per i media di tutto il mondo. Il suo ultimo film-documentario, "I am the revolution", celebra il ruolo fondamentale - lontano dagli stereotipi occidentali - delle donne impegnate nei conflitti in Medioriente.

 

Leggendo il libro emerge la forza di volontà che accompagna queste donne: nessuna di loro intende arrendersi, tutte lottano per uno scopo. Da Islam, vittima dello Stato Islamico, a quelle che decidono volontariamente di unirsi a Daesh. Da dove deriva questo desiderio di non mollare?

Le donne hanno forza di volontà, l'hanno sempre avuta e sempre l'avranno. In contesti come quelli relativi allo Stato Islamico, dove vige la Sharia, le donne sono in condizioni davvero difficili e il solo fatto di sopravvivere denota una grande perseveranza. Quando si ritrovano a dover lottare, come durante la guerra tra Isis e le forze democratiche siriane, spesso hanno più volontà degli uomini perché sono abituate a una resilienza senza fine. 

 

Ha conosciuto Islam in Siria nel 2017, durante le riprese del documentario "I am the revolution": parlando con lei, qual era la sua motivazione? Da dove traeva la forza per non piegarsi alla causa dello Stato Islamico?

I suoi due figli, Abdullah e Maria, le hanno dato la forza di sopravvivere. Durante i tre anni passati come prigioniera di Daesh, non ha mai smesso di pensare a come portarli lontano da quell'inferno: non avrebbe mai permesso che crescessero come soldati di Isis. 

 

Nella graphic novel, alcuni personaggi sono rappresentati con il volto di animali. Cosa vuole comunicare questa scelta?

Nasce da un'idea congiunta con Sara, la co-autrice e mente grafica dell'opera. Ci siamo poste il problema di come rappresentare il male: la scelta di usare animali considerati "cattivi" funziona perché sono immagini immediate, che anche un bambino collegherebbe a qualcosa di malvagio e pericoloso.

 

"Io non sono Islam", la volontà di riscatto di una vittima della Sharia - foto 2

 

Come raccontato in "Io non sono Islam", le donne hanno avuto un ruolo primario nel conflitto tra le forze democratiche siriane e Isis. Pensa che abbiano la stessa rilevanza anche nel conflitto odierno, che vede la popolazione curda impegnata contro l'esercito della Turchia?

La guerra tra il nord-est della Siria e la Turchia è una scacchiera geopolitica, la partita non si gioca solo sul campo di battaglia. Si gioca sui tradimenti, sugli accordi tra la popolazione curda e l'esercito di Damasco, che il portavoce del Partito dell'Unione Democratica curda Salih Muslim ha definito un "patto di sopravvivenza". Quello che so per certo però è che oggi le donne di Isis che si trovano in un campo dove io ho passato diversi mesi in Siria hanno imbracciato i fucili per combattere. Anche le donne dello YPJ prenderanno parte al conflitto. Perciò si, almeno sul campo le donne continueranno ad avere un ruolo importante. 

 

In un'intervista rilasciata a Il Sole 24 Ore nel 2018 disse che "la guerra, con il suo caos, rappresenta paradossalmente un'opportunità per costruire un ordine nuovo, più giusto, nel quale anche le donne abbiano un ruolo di primo piano". Secondo lei le donne si trovano a combattere una guerra all'interno di un'altra?

Soprattutto nella battaglia tra Rojava e Daesh, le donne di entrambi gli schieramenti si sono trovate a dover affrontare una battaglia nella battaglia. La guerra porta un vuoto politico che va colmato. Le combattenti curde dello YPJ grazie a questo sono riuscite a conquistare il loro spazio anche nell'ambito militare. La loro battaglia personale non è iniziata nella guerra contro Isis, ma negli anni Settanta quando tra le file del PKK hanno fatto sentire la loro voce. L'esperimento del Rojava ci ha dimostrato come le donne siano perfettamente in grado di avere un ruolo di primo piano in ogni ambito, anche nella guerra.

 

Stavolta in quelle zone si scontrano due nazioni ma anche due ideologie, vale lo stesso il concetto della guerra nella guerra?

Assolutamente si, perché oggi si combatte una mentalità fascista del governo turco che vuole spazzare via la popolazione curda dalla mappa. La realtà è che la Turchia non vuole un esperimento di confederalismo democratico lungo il confine, ha paura che possa espandersi anche nel loro territorio. Le donne curde oggi non combattono solo per la loro vita, ma per la sopravvivenza del loro messaggio di rivoluzione. Tutti i movimenti femministi nati intorno al mondo, da Non Una di Meno fino alle americane del Mee Too, prendono ispirazione dalle combattenti dello YPJ. Loro sanno di essere un esempio e devono combattere anche per mantenere vivo il loro messaggio ispiratore. 

 

Nell’introduzione si legge di Islam che le chiede: "Non ti dimenticare di me". Ha mantenuto la sua promessa?

Certamente. Sono passati due anni da quando io e Islam ci siamo incontrate in Siria, ma siamo ancora in contatto, anche ora che la sua storia ha fatto il giro del mondo. 

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