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Album e tour, highlander Deep Purple
"Il mondo e la musica cambiano, noi no"

Ian Gillan e Ian Paice a Tgcom24: "Il rock ha esaurito la sua spinta sulla società e sulla cultura. Ma noi abbiamo ancora la gioia di suonarlo. La musica in Mp3? No grazie, è spazzatura"

Ufficio stampa

A otto anni di distanza dal loro ultimo lavoro in studio, rieccoli, i Deep Purple, uno dei grandi monoliti della Stonehenge del rock. In questa metàfora, nessun doppio senso sulla loro età anagrafica e artistica: come in altri casi (vedi alla voce Springsteen, o Rolling Stones), questi vecchi irriducibili ragazzi degli anni '40 puzzano ancora di fresco, sul palco come in studio. Semmai, si può riferirisi alla solidità, all'inamovibilità, dei monoliti, all'enorme massa tecnica e creativa che fa di "Now What?!", l'album appena dato alla luce, un disco che come nella tradizione dei Purple non rinuncia a spargere sulle potenti specialità della casa spezie di altri generi di rock, a cominciare dal caro vecchio progressive. Qualitativamente elevato, vario, ben prodotto: eppure "Now What?!", c'è da scommetterci, verrà visto da molti solo come la scusa per un nuovo tour (comprendente tre date italiane), e una nuova occasione per milioni di fans di sentire riecheggiare in giro gli inni hard rock scritti nel periodo del "Mark II", da "Smoke on the Water" a "Highway Star", da "Strange Kind of Woman" a "Black Night", gli scalini tramite i quali i Deep Purple sono saliti - senza più scendere - nell'olimpo degli dei. Una teoria facilmente smontabile da Ian Gillan e Ian Paice, la voce e il tempo che hanno scandito la grande storia dei Purple: dalle loro parole, la certezza che il passato è sempre importantissimo a patto di avere un presente, e un futuro.

Partiamo proprio da questo titolo, "Now What?!", e ora che succede, ai Deep Purple e al rock in genere?
Ian Gillan
"Abbiamo trovato qualcosa che avevamo perso, e anche nuove cose. Abbiamo riscoperto di essere innanzitutto una band musicale, con un cantante. Intendo dire che tutti i pezzi nuovi sono di base scritti e suonati come strumentali, come veri e propri pezzi di musica ancora prima che si potesse pensare di trasformarli in canzoni. Poi, c'è stata la volontà di non farsi condizionare dagli standard e dai tempi di un disco. Quando abbiamo cominciato, nel 1969, i primi tre album avevano sette canzoni, seguendo una regola o un'altra la musica andava via".
Ian Paice: "Se un pezzo ha bisogno di 7 o 10 minuti, lo facciamo di 7 o 10 minuti. Abbiamo definitivamente rinunciato al concetto di creare musica pensando alla sua fruizione alla radio, o in uno show televisivo, perlomeno dal punto di vista puramente commerciale. Una canzone può durare 3, 5, 10 minuti, l'importante é che abbia uno sviluppo naturale, fedele a un'ispirazione. Per i Deep Purple questo concetto di totale libertá creativafunziona a meraviglia".

Non realizzavate album in studio da 8 anni e in qualche maniera "Now What?!" è il vostro primo disco nella cosiddetta era digitale, quella dell'mp3. Questo ha condizionato in qualche modo la produzione?
IG: "Io odio gli mp3. Per me è merda, hanno un suono disgustoso, qualità buona per ascoltare musica in treno con le cuffiette. Prova a sentirli dagli amplificatori di casa. Abbiamo speso molto tempo per ottenere invece un perfetto sound da hi-fi, da vinile. Ok, lo sappiamo, tu puoi scaricarti gli mp3 per 99 cents oppure, magari, downloadare i pezzi con la qualità del cd. Perché la differenza è che lì senti noi, in studio, la musica che è stata prodotta da persone. Anch'io lì uso, gli mp3: ma a casa non posso comprimere Tchaikowski o Glenn Miller"
IP: "Nessuno sottovaluta l'importanza del digitale, ma questo non può fare parte del processo produttivo di un disco, perlomeno per noi. Si lavora per la qualità migliore e penso che proprio in questo album ci sia il miglior suono di sempre dei Deep Purple, qualcosa che sia gradevole ovunque".

Parliamo allora delle molte belle canzoni che popolano questo disco. È un poco sorprendente che il singolo di lancio, parlando di Deep Purple, sia "All the time in the world", un pezzo più lento rispetto ai tempi e al sound più "marchio di fabbrica" della band. Come mai questa scelta?
IG: "Beh, in queste cose decide anche la casa discografica e avrà contato quella che può essere una logica più commerciale, avranno pensato a cosa avrebbero potuto passare in radio in Germania (ride). In realtà il singolo è una sorta di doppio lato A con "Hell to Pay", una track più rock. "All the time in the world" non è una ballad, ad ogni modo, io non ho mai cantato e non canterò mai una ballad in vita mia, è un groove".
IP: "Non dobbiamo vendere dischi, grazie al cielo, è una scelta della compagnia, con cui stiamo benissimo, e a noi va bene così. Per me avrebbe potuto essere qualsiasi canzone dell'album, loro fanno quello che credono per lanciare il cd e noi sappiamo che quelle sono uno o due canzoni, non l'intero lavoro, che ovviamente è molto più interessante e con dentro molte più cose".

Una canzone molto bella, e molto particolare per il suo testo, è "Above and Beyond", ascoltarla e pensare a Jon Lord (grande tastierista della formazione più classica dei Purple, ndr) è stato automatico. La notizia della sua morte vi ha raggiunto l'estate scorsa, mentre eravate in studio: com'è andata?
IP: "E' stato un giorno duro, strano. Avevo visto Jon sofferente, quando ho lasciato l'Inghilterra per andare negli States a registrare avevo la sensazione che non l'avrei più rivisto. Perciò quando mi è arrivata la notizia è stato molto triste, ma non inatteso. Nella testa sono passate molte emozioni, molti pensieri. Ma alla fine abbiamo lavorato, ero là per quello è non potevo fare niente. Ma è stato difficile, quel giorno".
IG: "Jon era una sorta di patriarca per i Purple, una persona senza la forza di gravità, dalla grande spiritualità. E mi è capitata la stessa cosa di quando se ne è andato mio padre, Jon era dentro la stanza e sentivo la sua presenza tramite le vibrazioni, i bei ricordi, abbiamo riso. "Above and Beyond" non è nata come una canzone per lui, ma come una cosa romantica, un uomo che lascia il suo amore e promette di tornare. Un concetto che poi ho rivolta lui, è partito - ma non completamente. È "Above and Beyond", sopra e davanti. Ma lui è in tutto l'album, in fondo".

L'album sarà seguito da un lungo tour che vi porterà anche qui da noi. Avete già pensato ai live, allo show, alla scaletta? Facile dedurre che non sarà un semplice Deep Purple greatest hits...
IG:"Lasceremo andare le cose in modo molto naturale anche se, per quanto riguarda il disco nuovo, abbiamo già avuto delle sensazioni in studio sui pezzi che quasi automaticamente approderanno sul palco"
IP: "E per quanto riguarda il passato, noi suoniamo e suoneremo sempre le canzoni che il pubblico vuole sentire. È una questione di rispetto, per l'audience e per la nostra storia, la gente viene ai concerti per stare in piedi, ballare, cantare, urlare. Ricordate il tour di David Bowie in cui abolì i suoi successi? Fu ricoperto dai fischi. È una reazione normale, comprensibile".

Voi, Bruce Springsteen, i Rolling Stones, gli AC/DC: la gente si stupisce di vedervi ancora così forti, pieni di energia a dispetto degli anni. C'è un segreto? Qual è la formula magica?
IP: "E' qualcosa che appartiene alla nostra generazione e ci ha portato ad alzare la musica rock e pop a un livello ancora più intenso. Per noi è totalmente naturale, on stage facciamo ancora le stesse cose che facevamo a 20 anni. Generazioni successive alla nostra fanno musica buona, ma che non è loro, è influenzata da qualcos'altro, può essere un prodotto valido, ma anche provvisorio, volatile. La musica che facciamo noi è nostra, invece. Prima non c'era. E la suoneremo fino al giorno in cui non potremo farlo più"
IG: "Se tu pensi alle prove, o alle sessions di registrazione. Ogni giorno sei ore, da mezzogiorno alle sei. Suonando. È la musica la vera energia, è eccitante, sempre, così come quella che ti dà il pubblico. Sul palco ci vedi sorridere, è il nostro posto".

Non è ancora tempo di bilanci definitivi, dunque, ma credo che vi capiti inevitabilmente di pensare a quanto influenzate - o avete influenzato - un sacco di band...
IG: "Noi stessi abbiamo subìto, all'inizio, gli influssi di grandi artisti a cui ci siamo ispirati. Io, per esempio, a gente come Elvis Presley, Little Richard, Buddy Holly. Ritchie Blackmore, favoloso chitarrista, aveva studiato su Chet Atkins, Wes Montgomery. E poi è toccato a noi, ai Black Sabbath, ai Led Zeppelin. Quello che passa tra una generazione e l'altra è l'energia, è un processo naturale ma non facile, perché c'è così tanta musica intorno, e non solo. Una volta si poteva passare attraverso i libri, i microfoni, oggi tutto è cambiato ed è piuttosto lo spirito collettivo che può influenzare i giovani. Penso a Internet, ai social media, a tipi diversi di arti performanti, di aggregazioni che non si riferiscono più al rock, che è stata col pop la forma espressiva più efficace della seconda metà del ventesimo secolo, che si può ritrovare in gran parte della cultura espressa poi tramite altre arti e comunicazioni. Ma oggi la pop music è qualcosa di non vero, è sovrapprodotta, piuttosto vuota. I ragazzi "guardano" la musica, non la ascoltano".

Il mondo cambia, ma ancora oggi un ragazzino a cui viene regalata la prima chitarra elettrica è portato a suonare immediatamente gli accordi di "Smoke on the Water". Sentite di avere creato, o contribuito a creare, un vero linguaggio universale?
IP:
"È esclusivo, è un privilegio. Non devi essere "high or low", non c'è bisogno di parole, io lo suono, tu mi capisci. E i ragazzi di tutto il mondo lo fanno loro perché è tremendamente semplice. Questa è la magia. Ed è anche magico che nessuno ci sia arrivato prima di noi..."