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Giornata mondiale dell'epatite, l'Amcli: "Mai abbassare la guardia sull'infezione"

Si stima che nel mondo vi siano 257 milioni di persone con infezione cronica da HBV, con più di 850 mila decessi annui

Giornata mondiale dell'epatite, l'Amcli:
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L'impatto delle epatiti sulla salute di milioni di pazienti in tutto il mondo resta estremamente pesante.

Sebbene siano stati compiuti importanti progressi nei sistemi di diagnosi e monitoraggio e nella disponibilità di farmaci più efficaci, restano le conseguenze che le diverse tipologie di infezioni arrecano alla salute delle persone anche a distanza di numerosi anni dall'insorgere dell'infezione.

Occorre quindi mantenere elevata la guardia, soprattutto per gli effetti che possono prodursi nel sistema sanitario, con elevati costi sociali non solo diretti, dovuti alle ospedalizzazioni e alle cure, ma anche indiretti, dovuti alla perdita di capacità produttiva. È questo l'auspicio che AmcliAssociazione Microbiologi Clinici Italiani, a voce di Pierangelo Clerici, Presidente Amcli e Direttore dell'Unità Operativa di Microbiologia dell'Azienda Socio Sanitaria Territoriale Milano Ovest, esprime in occasione della Giornata mondiale contro l'epatite in programma il 28 luglio.

L'epatite A è una infezione acuta, con incidenza molto variabile fra le varie zone del pianeta. L'infezione generalmente guarisce lasciando una immunità permanente, ma l'impatto clinico può essere rilevante soprattutto per alcuni gruppi con fragilità medica e/o sociale. Le infezioni da virus dell'epatite B e C nella maggior parte dei casi non guariscono spontaneamente, trasformandosi in forme croniche che nel corso degli anni possono evolvere verso cirrosi e cancro epatico. Le infezioni da HBV e da HCV sono tra le prime cause di epatocarcinoma, e fra i maggiori determinanti trapianto epatico. Si stima che nel mondo vi siano complessivamente 257 milioni di persone con infezione cronica da HBV, con più di 850 mila decessi annui, e 71 milioni di persone con infezione cronica da HCV, con circa 400 mila decessi annui.

Mentre per l'epatite A e B esiste un vaccino estremamente efficace, per l'epatite C si è ancora lontani da questo traguardo. Per l'epatite B le cure disponibili sono poco efficaci nell'eradicazione delle forme croniche, mentre per l'epatite C da qualche anno sono divenuti disponibili farmaci ad azione antivirale diretta capaci di eradicare il virus in più del 90% dei soggetti trattati. Dunque per l'epatite A e B gli interventi più vantaggiosi sul piano costo/efficacia sono basati sulle strategie di prevenzione, mentre per l'epatite C la sfida più attuale è identificare il maggior numero possibile di soggetti infetti per poterli avviare al trattamento.

"Ora che sono disponibili cure efficaci che il piano sanitario nazionale sta rendendo accessibili ad una platea sempre più vasta di pazienti infetti con l'HCV, l'obiettivo è non solo quello di curare i singoli ammalati, ma nel lungo termine anche di restringere la dimensione del serbatoio da cui possono originare nuove infezioni. Questi obbiettivi possono essere raggiunti favorendo l'integrazione fra i settori del laboratorio, della clinica e della sanità pubblica", spiega la d.ssa Maria Capobianchi, Responsabile Virologia dell'IRCCS Spallanzani di Roma, Membro del Consiglio Direttivo Amcli.

Per l'epatite A la maggiori criticità riscontrate nella evoluzione epidemiologica recente in Italia è legata al fatto che la popolazione adulta incontra il virus senza aver acquisito per via naturale o per vaccinazione l'immunità,  e quindi si verificano epidemie cicliche tra gruppi di popolazione a rischio a causa di abitudini alimentari, abitudini sessuali, fragilità immunologica. Servono pertanto programmi di sorveglianza nei quali l'apporto dei microbiologi clinici è fondamentale,  per il rapido riconoscimento/controllo dei focolai epidemici, associati a programmi di vaccinazione mirati al controllo della trasmissione tra i gruppi a più elevato rischio.
 
Per l'epatite B, nonostante sia disponibile da molti anni un vaccino efficace ed obbligatorio per legge, si continuano ad osservare infezioni acute, soprattutto in soggetti italiani in fasce di età che non hanno ricevuto il vaccino e in soggetti stranieri non vaccinati nei paesi di origine.
 
Per l'epatite C i tassi di incidenza attuali sono bassi ed in significativo calo da 25 anni, attestati intorno a 0.5 infezioni per 100.000 abitanti; tuttavia permangono sacche di trasmissione non completamente definite. È necessario pertanto intensificare l'attività di diagnosi e la sorveglianza dei casi incidenti, per definire le sacche di trasmissione residua e analizzare i risultati ottenuti fino ad ora per valutare la fattibilità/opportunità di strategie di eliminazione dell'infezione nel medio e lungo periodo.
 
Uno sguardo attento meritano infine le epatiti virali di più recente identificazione, quale l'epatite E, la cui circolazione nelle zone europee è mantenuta principalmente  dal consumo di alimenti provenienti da animali infetti (si tratta infatti di una zoonosi), mentre nei paesi in via di sviluppo è legata soprattutto a fonti idriche contaminate. È difficile fare una stima reale della diffusione di questa infezione, perché da una parte la sensibilità dei clinici è ancora non sufficientemente affinata, e dall'altra i metodi diagnostici sono ancora in fase di perfezionamento.
 
In questo complesso scenario, il microbiologo clinico continua a sostenere un ruolo chiave nella lotta alle epatiti virali, fornendo un supporto fondamentale ai clinici per la gestione terapeutica e alla sanità pubblica per il disegno e l'attuazione di strategie di controllo e prevenzione.