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Cassazione, chi sono gli otto protagonisti
della sentenza Mediaset: giudici, pg e difesa

Nella "Palazzaccio" va in scena lʼultimo atto del processo a Silvio Berlusconi

Ap/Lapresse

Un collegio di magistrati di lungo corso e di tendenze moderate, tutti nati in Campania e Puglia, e un sostituto procuratore generale sardo con dichiarate simpatie per la corrente conservatrice dei giudici della quale è stato anche leader. Questo il "ritratto" dei magistrati della Cassazione che devono emettere il verdetto Mediaset e che hanno avuto come "antagonisti" il professor Franco Coppi, il "principe dei penalisti", e l'avvocato e parlamentare del Pdl Nicolò Ghedini, che difende l'ex premier Silvio Berlusconi dal 1998.

I CINQUE GIUDICI
ANTONIO ESPOSITO -
Nato a Sarno il 18 dicembre 1940. In magistratura dal 1965, in Cassazione dal 1985. Presidente della Seconda sezione penale. Colto da lapsus aveva dato appuntamento per il verdetto Mediaset al primo agosto 2014. Nel 2011 ha condannato Totò Cuffaro e poi gli ha riconosciuto di "aver accettato il verdetto con rispetto" dando "una lezione per tutti, in tempi cosi' burrascosi intorno alla giustizia".

AMEDEO FRANCO - Beneventano di Cerreto Sannita, è nato il nove agosto 1943. Magistrato dal 1974. In Cassazione dal 1994. In servizio alla Terza sezione penale competente per i reati tributari, per la sua specializzazione ha svolto la relazione dell'udienza Mediaset in più di due ore di maratona oratoria. Scriverà le motivazioni del verdetto. Era nel collegio che ha confermato l'assoluzione del "Cav" per Mediatrade.

CLAUDIO D'ISA - Nato a Napoli il 28 aprile del 1949, vive a Piano di Sorrento, dove è un "animatore" del Rotary Club per quanto riguarda convegni sulla legalità e contro il crimine organizzato. Veste la toga dal 1975. Presta servizio alla Quarta sezione penale della Cassazione ed è anche componente della Commissione tributaria regionale della Campania. Non ha mai proferito parola durante l'udienza Mediaset.

ERCOLE APRILE - Leccese nato il primo ottobre 1961, in magistratura dal 1989. Giudice nella sua citta', poi approdato alla Suprema Corte. Anche lui "muto" per tutta l'udienza.

GIUSEPPE DE MARZO - Classe 1964, il più giovane del collegio. Nato a Bari, in servizio dal 1991. Ha iniziato a Taranto. Anche lui non ha mai parlato durante l'udienza.

L'ACCUSA
ANTONIO MURA
- Ribattezzato dai media durante l'udienza Mediaset come il Cary Grant del 'Palazzaccio' per la sua avvenenza. Il sostituto Procuratore generale è nato a Sassari il 14 novembre del 1954. Togato dal 1984, in Cassazione dal 1994. Uomo di spicco della Procura, ex leader di Magistratura Indipendente. Ha definito Berlusconi come "l'ideatore di un sistema truffaldino", ha chiesto la conferma della condanna principale e la riduzione da cinque a tre dell'interdizione dai pubblici uffici

LA DIFESA
FRANCO COPPI - Nato a Tripoli il 29 ottobre 1938, è considerato il migliore avvocato penalista. A lungo e fino al 2011, ordinario di diritto penale all'Università di Roma La Sapienza. Democristiano non pentito, da giovane voleva fare il pittore. La passione per i bei quadri gli è rimasta. Tra i suoi maggiori successi professionali la difesa di Giulio Andreotti e quella di Raniero Busco, prosciolto dal delitto di Via Poma. Tra i suoi clienti, Antonio Fazio e Gianni De Gennaro. "Il dottor Berlusconi doveva essere assolto fin dal primo grado", ha detto.

NICCOLO' GHEDINI - Nato a Padova il 22 dicembre 1959, entra nello studio del penalista Piero Longo. Ha partecipato alla difesa di Marco Furlan, uno dei due serial killer che si firmava Ludvig. Negli anni '70 milita nel Fronte della Gioventù, poi passa al Partito Liberale. A metà anni '90, è segretario dell'Unione delle Camere Penali quando Gaetano Pecorella ne è presidente. Difende Berlusconi da quasi 16 anni, è 'onorevole dal 2001. Il processo Mediaset è "il mio incubo notturno", ha detto nell'arringa in Cassazione

LA SEDE DELLA CASSAZIONE
E' spesso chiamato in queste ore dai nostri colleghi "Palazzaccio", secondo il soprannome popolano romano in voga da più di un secolo. La sua storia è simbolica. Voluto dai Savoia come espressione della giustizia italiana che affermava la sua autorità nella nuova capitale dello stato unitario, fu costruito su progetto dell'architetto Calderini che vinse il concorso: la prima pietra fu posata nel 1889, in una zona ancora allora verde di campi (tanto che il quartiere che da lì inizia si chiama ancora Prati, anche se adesso di erba non ce n'è più). L'edificio è massiccio, in marmo travertino e fin dalla sua fondazione ebbe problemi di stabilità, affondando nel terreno sabbioso in riva al Tevere. Le colonne e gli scaloni sono circondati da statute di antichi romani, prinicipi del foro e giureconsulti da Cicerone a Modestino. Inaugurato nel 1911, nel cinquantesimo dell'unità d'Italia, già nel 1912 fu nominata una commissione d'inchiesta parlamentare sulle spese per la sua costruzione. Palazzaccio perché percepito dai romani come luogo di dolore e per certi versi maledetto, solo dopo il trasloco di molti uffici giudiziari a piazzale Clodio e a viale Giulio Cesare, è diventato sede esclusiva della Corte di Cassazione.