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Domenico Quirico:"Non so se Assad usò gas"
Il giornalista racconta i giorni della prigionia

Clamorosa rivelazione di Pierre Piccinin, il belga rapito assieme allʼinviato de La Stampa: "Lʼattacco chimico in Siria non fu opera del regime". Il racconto del sequestro: "Domenico subì due finte esecuzioni. Abbiamo tentato due volte la fuga, ci hanno ripreso e punito duramente". Ma sullʼattacco con i gas Quirico smentisce

Ansa

Domenico Quirico, il giornalista de “La Stampa” liberato domenica dopo essere stato rapito in Siria non ha perso tempo e si è messo subito al lavoro. In un lungo articolo ha ripercorso i 152 giorni della prigionia e ha smentito le dichiarazioni del suo compagno di cella, l'insegnate belga Pierre Piccinin che dopo la liberazione aveva rivelato: “Assad non ha usato i gas”.

"Il regime non ha usato i gas" - "E' un dovere morale dirlo. Non è il governo di Bashar al-Assad ad avere utilizzato il gas sarin o un altro gas nella periferia di Damasco", ha spiegato Piccinin alla radio RTL-TVi, riferendo di una conversazione, ascoltata a sorpresa, tra i ribelli. Piccinin ha aggiunto che ammetterlo "mi costa perché da maggio 2012 sostengo con decisione l'esercito libero siriano nella sua giusta lotta per la democrazia . "Per il momento, però, per una questione di etica Domenico ed io siamo determinati a non fare uscire i dettagli di questa informazione". "Quando la 'Stampa' riterrà che è venuto il momento di dare dettagli su questa informazione, lo farò anch'io in Belgio", ha spiegato lo storico e docente universitario. Piccinin ha raccontato quindi che, quando il 30 agosto, lui e il giornalista italiano hanno appreso dell'intenzione degli Usa di intervenire militarmente in seguito all'uso, attribuito al regime, delle armi chimiche, "avevamo la testa in fiamme: eravamo prigionieri laggiù, bloccati con questa informazione e per noi era impossibile darla".

Ma Quirico smentisce: "Non so se sia stato Assad, solo chiacchiere origliate" - Secondo il sito de La Stampa, invece, Domenico Quirico è di tutt'altra posizione sull'uso di armi chimiche in Siria. "E' folle dire che io sappia che non è stato Assad a usare i gas", si legge sul quotidiano. Poi, l'inviato prosegue: "Eravamo all'oscuro di tutto quello che stava accadendo, anche dell'attacco con i gas. Un giorno dalla stanza in cui venivamo tenuti prigionieri, attraverso una porta socchiusa, abbiamo ascoltato una conversazione via Skype in inglese in cui tre persone dicevano che l'uso del gas l'avevano fatto i ribelli per provocare l'intervento occidentale e che il numero dei morti citato dai giornali era esagerato".

"Odissea terrificante" - I cinque mesi di prigionia "sono stati un'odissea terrificante attraverso tutta la Siria". "Siamo stati trasferiti molte volte in diversi posti - ha poi raccontato ancora Piccinin -. Non era sempre lo stesso gruppo che ci teneva prigionieri, e questi gruppi erano molto violenti, anti-occidentali e composti di islamici anti-cristiani".



Quirico ai pm: "Paura di essere ucciso" - Quirico è stato interrogato nell'ufficio del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e assistito dai pm Francesco Scavo e Sergio Colaiocco che hanno aperto un fascicolo d'inchiesta ipotizzando il reato di sequestro di persona con finalità di terrorismo. "Siamo stati fermati da due pick-up con a bordo uomini armati. I primi giorni eravamo bendati: ho avuto paura di essere ucciso. Forse tre gruppi ci hanno 'gestito'", sono state le sue parole ai magistrati. L'inviato ha anche spiegato di essere stato nutrito poco, una volta al giorno, e di essere dimagrito di 4 kg rispetto ai 57 originari.

"Picchiati quasi sempre" - I 5 mesi di prigionia per l'inviato de La Stampa, "sono stati mesi molto duri, siamo stati picchiati quotidianamente, abbiamo subito due false esecuzioni". E aggiunge: "Siamo stati trattati bene solo per un breve periodo in cui siamo stati affidati ad un gruppo di Al Qaeda, questo lo devo dire per dovere". Poi, ha detto di essere stato "venduto dall'Armata Siriana libera, il gruppo che ha innescato la rivoluzione e che credeva in una società siriana libera dalla dittatura interreligiosa, ma che ora è scomparsa".

Trattati come bestie – “Durante la prigionia – racconta Quirico – siamo stati trattati come bestie per 152 giorni. I rapinatori ci hanno picchiato sostenendo di essere uomini della polizia del regime. Nei giorni successivi invece abbiamo scoperto che si trattava di ferventi islamisti che pregavano cinque volte al giorno”. Ma le botte non sono state l'unico patimento per il giornalista. “Non c‘era nulla da mangiare – continua Quirico . I rapinatori ci davano gli avanzi dei loro pasti e poi c'erano solo delle pesche che essendo giugno erano ancora lontane dalla maturazione. Ci siamo nutriti schiacciandole e mangiando la parte più interna e il nocciolo”.

Cinque mesi senza scarpe – Durante la prigionia la vita del giornalista è stata totalmente stravolta dal volere e dai diktat dei carcerieri: “Sono stato cinque mesi senza scarpe, camminando a piedi nudi – racconta Quirico - per cinque mesi ho vegetato, cinque mesi in cui mi è stata succhiata la vita ed è stata sostituita con qualche cosa di artificiale”.

Umiliazione quotidiana e l'aiuto della fede – “Nella mia vita, nel mondo occidentale, non ho mai provato cos'è l'umiliazione quotidiana nelle cose semplici come il non poter andare alla toilette, il dover chiedere tutto e il sentirsi dire sempre di no. Credo che c'era una soddisfazione evidente in loro nel vedere l'occidentale ricco ridotto come un mendicante”. Con queste poche righe Quirico ricorda i giorni della prigionia. Giorni in cui soltanto la sua fede in Dio è stata in grado di aiutarlo: “La mia è una fede semplice, la fede delle preghiere di quando ero bambino. La mia fede è darsi, io non credo che Dio sia un supermercato, questa fede mi ha fatto sopravvivere”.  

La festa a La Stampa - Giornalisti e poligrafici, dirigenti e magazzinieri, tutti alla Stampa di Torino hanno atteso trepidanti la liberazione del collega. L'attesa dura da 5 mesi durante i quali ogni giorno sull'edizione del quotidiano era stato posto un fiocchetto giallo, simbolo della speranza di rivederlo e riabbracciarlo. Solo oggi, dopo il rilascio, al suo posto campeggia la scritta "bentornato". "Prima che partisse per il Libano, cinque mesi fa - ha ricordato il direttore Mario Calabresi che è andato a Roma per accogliere il suo inviato - gli avevo detto di stare attento. Perché tutti noi, lui compreso, avevamo la percezione che laggiù questa volta la situazione non fosse come le altre. Lui mi aveva risposto così: 'a maggior ragione bisogna andare e raccontare. Laggiù stanno succedendo cose terribili". 


Quirico: "Visto pezzo d'Italia che funziona" - Applausi e abbracci hanno accolto Quirico quando è finalmente entrato in redazione. "La prima cosa che mi sento di dire è un enorme grazie allo Stato. In questa vicenda ho visto un pezzo di Italia che funziona davvero": queste le prime parole del giornalista liberato. "Ora voglio solo abbracciare le mie figlie. Sono 152 giorni che non le vedo, e per una di loro sono 152 giorni che non la sento. Non sono stati giorni propriamente facili - ha detto ai cronisti in attesa - ma nel complesso sto bene. Mi sento solo frastornato". "Al mio collega belga di sventura, che aveva paura di essere lasciato solo dal suo Stato, ho detto: 'non aver paura, non temere. L'Italia avrà tanti difetti ma di una cosa sono sicuro: in un caso così non ci lascia soli'".