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Procreazione, la Corte Ue condanna l'Italia
No a diagnosi preimpianto, accolto il ricorso

Secondo i giudici il nostro sistema legislativo è "incoerente" perché due coniugi non hanno potuto accedere alla fecondazione assistita, pur essendo portatori sani di fibrosi cistica

Ansa

La Corte europea dei diritti umani ha accolto il ricorso di una coppia italiana alla quale la legge 40 ha impedito l'accesso alla diagnosi preimpianto degli embrioni nonostante i due fossero portatori sani di fibrosi cistica. Secondo i giudici "il sistema è incoerente" poiché un'altra legge permette l'aborto terapeutico se il feto è affetto da fibrosi cistica. L'Italia è stata quindi condannata a risarcire la coppia con 15mila euro.

La Corte ha quindi stabilito che, cosi com'è formulata, la legge 40 ha violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare dei coniugi che hanno fatto ricorso, Rosetta Costa e Walter Pavan. Oltre ai 15mila euro che Roma dovrà versare loro "per danni morali", ci saranno altri 2.500 euro per le spese legali sostenute.

Il ricorso dei coniugi Pavan
I due avevano presentato ricorso nell'ottobre 2010 perché nel 2006, in seguito alla nascita del loro primo figlio affetto da fibrosi cistica, avevano scoperto di essere entrambi portatori sani della malattia. La coppia voleva avere altri figli ma si trovò a fare i conti con il 25% di probabilità che nascessero anche loro affetti da fibrosi cistica e il 50% che ne fossero portatori sani.

Per questo Rosetta e Walter hanno deciso di ricorrere alla procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto, pratica che viene però vietata dalla legge italiana. Nel ricorso la coppia sostiene che la normativa nazionale viola il loro diritto al rispetto della vita privata e familiare e che così com'è formulata la legge li discrimina rispetto alle coppie sterili e a quelle in cui l'uomo ha una malattia sessualmente trasmissibile: a loro viene infatti concessa la procreazione assistita.

Balduzzi: "Aspettiamo le motivazioni della Corte"
La questione della compatibilità tra legge 40 e legge 194 sollevata dalla Corte di Strasburgo e "un problema già noto", ma "aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza". Lo ha detto il ministro della Salute, Renato Balduzzi, a margine di un convegno, sottolineando che in ogni caso "una riflessione va affrontata".