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In Irpinia un sacerdote ha creato la prima università dei videogiochi

Lʼidea è di don Patrizio Coppola, che ha sempre pensato che il gioco e lʼintrattenimento siano strumenti semplici, vicini ai giovani e, per questo motivo, efficaci

In Irpinia un sacerdote ha creato la prima università dei videogiochi  - foto 1
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"Chi l'ha detto che i videogiochi sono dannosi?" A parlare è Don Patrizio Coppola, "cappellano rock", un prete che va in tv a parlare ai fedeli col sogno di modernizzare la Chiesa, anche grazie alla tecnologia.

Don Patrizio, nato ad Avellino e tifoso sfegatato della Juventus, fin da bambino è stato un appassionato di calcio e videogiochi, tanto che ancora oggi confessa di giocare a Fifa con la sua PlayStation nelle pause della missione di evangelizzazione e carità cristiana che compie quotidianamente.

Lui, che vive la sua giornata tra i malati dell'ospedale di Solofra, in Irpinia, ha deciso di far incontrare le sue passioni - la religione e la tecnologia - per dare una possibilità ai tanti giovani che non riescono a trovare lavoro, fondando la prima università dei videogiochi. Idea che, realizzata da un parroco e non da un guru della Silicon Valley, risulta quantomeno singolare.

Ma da dove nasce questo progetto? "Sono un sacerdote semplice -afferma Don Patrizio-  nato e vissuto in una famiglia ricca di valori, e nella terra della cipolla ramata e delle pelli. Però ho sempre amato l'idea della cultura: un popolo può crescere solo se impara, se studia, e allora ho deciso di fare qualcosa anche io. Ho scelto i videogiochi perché li ho sempre visti come uno strumento semplice, vicino ai giovani, ma anche di possibile crescita. Non li demonizzo affatto, come fanno in tanti, il gioco e l'intrattenimento possono aiutare lo sviluppo intellettivo. Le faccio un esempio: mio nipote di sedici anni ha iniziato a giocare alla PlayStation, una sera lo sento parlare inglese perfettamente e gli chiedo dove l'abbia imparato. Beh, la risposta è stata 'giocando alla playstation' ".

Allora il Don si ingegna, parla, incontra, finché non fonda prima il Playmont Festival, una piccola rassegna dedicata ai bambini in cui si insegna a costruire i videogiochi, con lo scopo di regalare borse di studio a chi non può permetterselo. Il successo è immediato e il sacerdote vuole andare oltre. Vuole fare una scuola, anzi un'università, e fonda lo Iudav, Istituto Universitario Digitale Animazione e Videogioco, insieme a Riccardo Cangini, fondatore di Artematica, società di videogiochi e a Carlo Cuomo, tutor all'Università Sapienza di Roma.

Don Patrizio mette in piedi anche un piano di studi e nel 2013 inaugura il primo corso di comunicazione digitale in animazione e videogioco, assieme alla Link Campus University, a Pozzuoli. Ma non si ferma. Fonda la Vhei, Valletta Higher Education Institute che, grazie alla collaborazione e alla disponibilità di Evaristo Bartolo - ministro maltese dell'Educazione che sposa questo progetto unico ed innovativo - riesce a fare riconoscere il corso di laurea a livello europeo in Ars Digital indirizzo animazione e videogiochi.

"Oggi le professioni sono cambiate e i giovani devono essere competitivi. Un'università che insegni a costruire videogiochi è richiesta da molte aziende e, tra i ragazzi che si laureano quest'anno, il sessanta per cento sarà assunto con un contratto a tempo indeterminato. Questo mi rende molto felice. Abbiamo già centocinquanta iscrizioni per il prossimo anno. E da quest'anno lo IUDAV, campus italiano della VHEI, si sposta a Solofra, dove vivo io, in provincia di Avellino, per dare una chance anche al nostro territorio e ai giovani del sud", racconta Don Patrizio. 

E alla critica che gli viene mossa sulla violenza dei videogiochi, il Don risponde con la pacatezza che lo contraddistingue: "Ci sono anche dei giochi violenti, non voglio negarlo, ed è per questo che i ragazzi non vanno lasciati soli, ma è importante che le famiglie li seguano, sappiano a cosa giocano e li educhino al bene. Guardi, il mio sogno è di far diventare il catechismo della Chiesa cattolica un videogioco, in modo da rendere la conoscenza di Cristo e della dottrina sociale della Chiesa più vicina ai giovani". Ma non è tutto. Il prete-joystick, così ribattezzato da qualcuno, ha in progetto anche di portare le consolle dei videogiochi ai bambini malati dell'ospedale Pausillipon di Napoli, per regalare loro un po' di leggerezza e gioia. E chi lo ferma?