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I videogiochi come propaganda

Occidente e Islam unite

È la nuova frontiera della propaganda politica: è il mondo dei videogiochi.

Dall’islamismo più radicale fino agli Stati Uniti, passando per la Cina e per l’Iran: la guerra invisibile che un tempo si combatteva a colpi di romanzi e di film di cassetta, con James Bond da una parte e colossal di regime dall’altra, e che contrapponeva il mondo occidentale al blocco comunista, ha oggi trovato una nuova valvola di sfogo e un nuovo pubblico, facilmente influenzabile. I bambini e gli adolescenti appassionati di videogiochi. La parte del leone in questa guerra tecnologica la fanno i videogame islamici, graficamente poco appetibili, ma creati con un chiaro intento propagandistico antioccidentale: i nemici sono sempre aggressori esterni, dai militari americani a quelli israeliani, arrivando persino ai robot che minacciano la religione e i costumi musulmani.

È il caso di Ummah defense . Nel 2214 i soldati di Allah, uniti sotto la bandiera dell’Islam, hanno conquistato con successo il mondo, instaurando il Califfato globale. A minacciare la pace arrivano però i robot nemici – cristiani -, che tentano i fedeli con le “forze manipolatorie” del commercio e della sessualità. In Under Ash invece i giocatori si calano nei panni di Ahmed, un giovane che si batte per la causa palestinese. Man mano che i livelli avanzano, i piccoli giocatori passano dal lancio di una pietra virtuale contro un carro armato israeliano al combattimento corpo a corpo vero e proprio. Il sito web della casa produttrice ricorda poi ai futuri giocatori il concetto principale della missione: la nazione palestinese è in ginocchio, le case vengono distrutte, le proprietà confiscate, le città rase al suolo, le scuole chiuse, i santuari violati, gli uomini vengono uccisi, torturati e incarcerati. Bisogna lottare, anche nel mondo virtuale.

Ovviamente non tutti i giochi islamici sono così radicali e violenti (anzi, spesso peccano di ingenuità se paragonati alla violenza di alcuni videogame occidentali), ma in alcuni casi la propaganda può annidarsi anche nei posti più inaspettati. L’esempio è un pacchetto di micro-giochi venduti con il titolo Il divertimeno islamico!, pensato per fornire ai bambini musulmani un’alternativa ai videogame dell’Occidente cristiano. I primi giochi sono assolutamente inoffensivi, poi ecco la volta de “La resistenza”, in cui i giocatori (tra i cinque e i sette anni di età) vengono calati nei panni di agricoltori del Libano meridionale che decidono di unirsi alla resistenza islamica contro gli invasori israeliani. I videogiochi si trasformano quindi in creatori di cultura, di valori, come altri mezzi di informazione di massa, ma allo stesso tempo molto differenti da libri, opuscoli o volantini: i videogame permettono un aggancio tra il reale e il virtuale, e anche tra il mondo intellettuale e quello fisico. I bambini premono i tasti per giocare, collegando un’azione fisica ad una stimolazione intellettuale e visiva. Il gioco, ripetuto infinite volte, rinforza in questo modo il collegamento fra il pensiero e l’azione, fra l’intenzione e l’esecuzione.

Ad aprire la strada dei videogame di propaganda sono stati però gli americani. Già nel 2003, all’indomani dell’invasione dell’Iraq, era stato diffuso Quest for Saddam, in cui il giocatore doveva dare la caccia a Saddam Hussein. Il gioco non ha evidentemente riscosso le simpatie del mondo islamico, ed ecco allora un nuovo videogame in cui il nemico da rintracciare non è più il raìs iracheno, quanto piuttosto il suo persecutore, il presidente degli Stati Uniti George W Bush (che nell’ultimo livello può essere ucciso a colpi di kalashnikov). Il videogioco si chiama – ribaltando l’antico nome -, Quest for Bush, The night of Bush Capturing, ed è stato realizzato dal Global Islamic Media Front, un’istituzione vicina ad Al Qaeda che non ha fatto altro che mettere in piedi il più classico degli sparatutto in prima persona, aggiungendo le fattezze di bush alla preda, e nuovi nomi ai livelli di gioco, come ad esempio “L'inferno degli americani”, “Alla ricerca di Bush” o “L'inizio della Jihad”. Dagli Stati Uniti arriva anche Mercenaries 2: World in Flames, in cui il giocatore viene inviato in un Venezuela appena invasa da Washington, per abbattere un dittatore assetato di potere che traffica con le risorse petrolifere del Venezuela. Rivolto all’Iran è invece l’ultima missione rilasciata da Kuma Reality Games per il suo videogioco on line Kuma/war, nato nel 2003 e seguitissimo dagli utenti di tutto il mondo. Lo scorso settembre la società di New York ha infatti reso disponibile la missione numero 58, Assault on Iran, che già nel nome dichiara un obiettivo ben preciso: assaltare - al comando delle truppe americane -, una centrale atomica iraniana.

E per chi avesse ancora dei dubbi, la Kuma chiarisce nel suo sito l’intento del videogame : “distruggi i macchinari che promettono di far entrare l'Iran nell'era nucleare. Mai la posta era stata tanto alta. Milioni di vite e il futuro della democrazia potrebbero essere in gioco”. Anche in questo caso al videogioco statunitense è presto seguita una risposta da parte dello Stato interessato, risposta che in questo caso ha il nome di Counter Strike, in cui i giocatori - agenti speciali iraniani -, devono portare a termine una missione che non lascia dubbi: far scoppiare un’autocisterna degli Stati Uniti nel Golfo per rendere lo stretto di Hormuz invalicabile e mettere in ginocchio il mondo occidentale dipendente dal petrolio del medio Oriente. In Ucraina si svolge poi Mission Galichina, un videogame sviluppato dalla software house NeoGame, ambientato nel 2008 all’indomani dell’elezione del filo sovietico Sergey Grishkov alla presidenza del Paese. Le regioni occidentali ucraine rifiutano di riconoscere la validità dell’elezione e il nuovo Governo chiede l’aiuto delle truppe russe (nei cui panni si calano i giocatori) per fermare la rivolta e riportare l’ordine. Politicamente scorretto e rivolto verso un nemico interno è invece Ethnic Cleansing, ovvero "Pulizia Etnica", uno sparatutto 3D pubblicato nel 2002 in cui, come recita la intro sul sito, l’obiettivo è “attraversare il ghetto facendo fuori neri e ispanici per raggiungere l'entrata della metropolitana, dove gli ebrei si sono nascosti per sfuggire al massacro». Infine, arrivata per ultima, si muove anche la Cina, sempre alle prese con il difficile equilibrio tra gli ideali comunisti e i valori del libero mercato. Ecco arrivare sul mercato quindi un nuovissimo videogame che celebra il culto di Lei Feng, un giovane soldato realmente esistito, Stakanov cinese di epoca maoista, eroe della Rivoluzione Cinese.

Simone Toscano