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La salma di Mike trafugata offende

Telebestiario di Francesco Specchia

Hanno trafugato la salma di Mike.

I crisantemi sotto i calcinacci, la lapide frantumata da mano eretica, l’odore d’incenso sparso nell’aria come una fuga di gas, il loculo vuoto e sordo assai simile ai suoi studi televisivi ad ogni fine trasmissione. C’è qualcosa di inumano e d’empio, c’è il disonore toccato in sorte ad un popolo, nella profanazione della tomba di Mike Bongiorno.

La cui spoglie appena l’8 settembre 2009 attraversarono applausi e italiche fanfare; e oggi, divelte dal piccolo cimitero di Degnate d’Arona sul Lago maggiore, si trovano nelle mani di estorsori anonimi che tardano a richiederne il riscatto. La prima sensazione alla notizia è quella dello sbigottimento, dello choc, sia da parte dei parenti («Siamo sgomenti e increduli» detto Michele Bongiorno jr, figlio di Mike, unico portavoce della famiglia), sia da parte delle istituzioni, sia da parte di Giuseppe Buscaglia, quel pensionato 76enne che l’altra mattina passeggiando tra le lapidi, s’è avveduto del fattaccio e l’ha denunciato lacrime agli occhi. Quasi ad essere il rappresentante di quell’Italia solida e dai rituali antichi che di Mike fu l’audience perfetta. l’ultimo tabù.

La seconda sensazione attiene alla caduta dell’estremo tabù, alla violazione di un simbolo nazionale. Perchè la scomparsa della salma di Mike non evoca certo il trafugamento delle salme di Serafino Ferruzzi o Enrico Cuccia (ritrovata, quest’ultima, senza riscatto proferire, in un fienile della Val di Susa- nonostante la richiesta di 10 miliardi). Nè, tantomeno, ricorda la salma di Benito Mussolini traslata dal camerata Domenico Leccisi e da Mirko Tremaglia -che, apre, se la caricò a spalle- nella notte tra il 22 e il 23 aprile del 1946 dal cimitero milanese di Musocco verso la natia terra di Predappio. Nient’affatto. Le spoglie estorte di Mike ci richiamano il rapimento della lingua di Sant’Antonio di Padova, una storia raccontata nel 2000 in un film di Mazzacurati denso di ingenuità e pentimenti mistici. Mike stesso, in fondo, era una sorta di reliquia.

 Unificando con i suoi programmi televisivi l’Italia linguistica e sociale del dopoguerra era divenuto l’eroe d’un nuovo Risorgimento, l’evangelizzatore laico d’una società che non aveva più miti, e se li aveva li aveva sbagliati. Non è un caso che il Comune di Milano, all’indomani della scomparsa, richiese di accoglierne i resti mortali al Famedio, nel Pantheon dei suoi cittadini illustri. E non è un caso che Mike espresse la volontà di essere sepolto, invece, lontano dalla folla, nella tomba di famiglia della moglie Daniela Zuccoli, in un paesino che gli ricordava il Paese rurale che aveva contribuito a far crescere. Oggi, sulle pareti del Tempio della Gloria del Cimitero Monumentale di Milano, si erge soltanto una targa col suo nome accanto ad altri nomi illustri, alle Pivano, ai Bernasconi, ai Mondadori: un modo come un altro per dire che Mike era sì milanese, ma, al contempo, patrimonio stesso dell’umanità. E, come grande italiano del passato, la sua salma trafugata evoca un incubo ancor più grande: la violazione della memoria collettiva.

 Nei “Sepolcri” Ugo Foscolo lo ricorda bene (anche se è strano citare il Foscolo per Mike, che nelle sue leggendarie gaffe lo confondeva col Pascoli...): come è importante, per i cari, ricordare i propri defunti così per una civiltà è essenziale possedere un buon culto dei morti tale che, attraverso il loro ricordo, le nuove generazioni abbiamo l’esempio della virtù e lo stimolo a proseguirne l’opera. Ecco, Mike era un esempio d’abnegazione, e un brandello di Storia Patria, e lo spudorato coraggio della normalità. Era la personificazione dell’italiano medio sbatacchiato e sopravvissuto in un secolo inquieto. Mike Michael Nicholas Salvatore Bongiorno era entrato nel Guiness dei Primati come l’essere televisivo più longevo d’ogni tempo. Aveva conosciuto Montanelli e Einsehover, i beat e il comunismo, il boom economico e il compromesso storico; aveva avuto tre mogli e tre figli, undici Festival di Sanremo e una ventina di quiz alle spalle. Ciascuno di noi misurava il tempo sulle sue rughe. Aveva lo sguardo ceruleo perennemente conficcato in un’immaginaria telecamera; e quella telecamera inseguiva una nazione nobile e vigliacca, livida e splendente, col passo lungo ma che spesso aveva incidenti di percorso senza andare da nessuna parte. Mike era quella nazione. Scrissero, forse provocatoriamente, che aveva dato più lustro lui alla nostra immagine istituzionale che dieci Giovanni Gentile, cento Fanfani, mille Agnelli. Magari era esagerato, ma uno scranno al Senato non lo vide mai. Ma questo è un altro paio di maniche. simbolo nazionale.

 Per tutto questo la profanazione del sepolcro di Mike rimane, soprattutto, un atto innaturale contro la Storia. Questa triste faccenda finirà -crediamo- con la richiesta, disattesa, di un riscatto da parte dei soliti imbecilli senz’arte nè parte nè dignità. E finirà pure con la solita restituzione degli umani resti, com’è sempre avvenuto. Noi restiamo scandalizzati. Ma c’è da dire che Mike Bongiorno, più legato alle cose terrene che ai simboli, da lassù avrà fatto spallucce e sfoderato quell’ironia che nascondeva sotto le gaffe. Macchè Allegria,«Fiato alle tombe, Turchetti»...

Francesco Specchia