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Eco, una "Fenomenologia" amara

Il semiologo riteneva Mike "mediocre"

Neanche la semiotica ha tralasciato l'impatto di Mike Bongiorno sulla vita televisiva e pubblica italiana.

Umberto Eco, agli inizi degli Anni Sessanta, dedicò al presentatore italo-americano uno studio sistematico nel suo diario minimo, intitolato "Fenomenologia di Mike Bongiorno". Poco lusinghiero il giudizio dello studioso che dipinse Mike come un simbolo estremo di mediocrità, sostenendo che dovesse il suo fascino alla capacità di essere un "every man", in grado di rassicurare il pubblico in quanto incapace di provocare complessi di inferiorità. "Deve il suo successo al fatto che in ogni atto cui dà vita traspare una mediocrità assoluta unita al fatto che in lui non si avverte nessuna finzione scenica", sentenziava Eco.

Per l'accademico, la "fiducia illimitata negli esperti," "l'italiano basico del conduttore", la sua incapacità di una visione critica lo rendevano un'icona dell'Italia degli Anni Sessanta, uscita dalla guerra e desiderosa di relax, come dimostrava il successo di Lascia o Raddoppia, trasmissione simbolo della carriera di Bongiorno. Il giudizio severo del semiologo, ancora lontano dal successo de "Il nome della rosa", non fu gradito da Mike Bongiorno che non si pacificò mai con la sua "Fenomenologia".

E tacciando Eco di incoerenza, gli ricordava bonariamente i suoi trascorsi da giovane collaboratore del suo popolarissimo quiz