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In morte di un immortale

Mike, lʼimperfezione della tv perfetta

E' morto un immortale.

Una contraddizione logica forse retorica, magari scontata se non addirittura banale, ma vera: Mike Bongiorno ha fatto la storia di questo Paese, per oltre mezzo secolo è come se avesse tenuto per mano intere generazioni di italiani. Era uno di casa, Mike, uno di noi.

Se la tv ha unito l'Italia, i quiz di Bongiorno ne sono stati un collante. Hanno rappresentato, l'uno dopo l'altro, la fotografia di una società che è cambiata, dalle macerie del dopoguerra fino alla ricostruzione e al boom, dagli anni di piombo all'entusiasmo degli anni '80 fino alla rivoluzione tecnologica. Mike c'è stato sempre: una certezza, una garanzia, con la sua galleria di concorrenti più o meno probabili e le sue vallette più o meno mute.

Era amato, Mike, per quella sua capacità di parlare alla gente con semplicità, magari sparando qua e là qualche strafalcione o inanellando qualche gaffe (e il dubbio rimarrà sempre: ma ci era o ci faceva?), ma cercando sempre di non uscire fuori dalle righe, pronto a prendere il controllo della situazione con concorrenti o ospiti un po' troppo esuberanti.

Gli hanno dato del mediocre, del convenzionale, del sempliciotto, e potrà pure essere vero, ma senza sbrodolarsi in ricordi melensi ora che non c'è più, ci piace più definirlo come un teorico e un pratico di quell'"aurea mediocritas" oraziana che incarna il "giusto mezzo" e rifiuta gli eccessi. Un modo di presentarsi e porsi che è riassunto il quell' "Allegria" che era diventato il suo marchio di fabbrica, un capolavoro di semplicità e immediatezza, sintesi estrema di un modo di fare televisione. Perfetto nella sua imperfezione, il nostro Mike rimarrà l'icona della vera tv popolare, magari superata nei tempi ma viva nella memoria e nei ricordi.

Domenico Catagnano