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La glaciale Daria e Brunetta

Telebestiario di Francesco Specchia

Ah, Daria, Daria Birignardi.

Quando l’anno scorso l’Antonio Marano, direttore di Raidue annunciò da La7 l’acquisto di Daria Bignardi, che avrebbe dovuto infiammare i cuori degli spettatori, e sferzare il palinsesto con la furia d’una Pulzella d’Orlean che mette al rogo gl’intervistati (invece di finirci lei stessa), rimanemmo tiepidini. Quasi scettici: il gioco della cifrona investita, per noi, non valeva la candela. La chiamammo “Diaria” Bignardi in virtù del suo stipendio e dell’abbondante sforzo contrattuale sostenuto, per lei, dai contribuenti.

Marano un po’ la prese male. Ci sventolò sotto il naso statistiche, focus group, straordinarie ricerche aziendali che decretavano Bignardi come il personaggio più “appealing” (qualunque cosa volesse dire) della tv tra i 24/40anni. Noi rispondemmo che non capivamo un tubazzo di quelle robe lì ma che, a naso, se Daria faceva il 7% su La7 non era affatto detto che triplicasse su Raidue. Entrambi scommettemmo sulla media di quello che sarebbe stato, di lì a poco, “L’era glaciale”. Non la riveliamo ma, per ora –immodestamente-, abbiamo ragione su tutta la linea. Sia negli ascolti, che nella critica (parte della quale, l’Aldograsso compreso, la ritiene un po’ appassita e gli preferisce Victoria Cabello, e ho detto tutto…). Innanzitutto non si capisce perché –con quello studio da Signore degli Anelli zeppo di acciaio tronchi e mangrovie- e con tutto il popò di autori (almeno 15, ci dicono per quattro interviste a settimana) le riservino il Late show, fascia potenzialmente a basso rischio e ad alto consenso intellettuale. Poi non ci si spiega perchè ci vogliano 15 autori per leggere un libro come i carabinieri delle barzellette utilizzati per svitare una lampadina; e come quegli autori riescano pure a cannare le domande. Nell’intervista con Renato Brunetta, per dire, confondere il nome del ministro Brodolini, tra i padri dello Statuto dei Lavoratori, con un certo “Brandolini” contenuto nelle sue callide pagine , non è “una cosa che non conta…” come risponde Daria; bensì una svista micidiale per cui bisognerebbe cospargersi il capo di cenere invece di perdere tempo ad attaccare l’interlocutore, che tra l’altro ha ragione ed è pure notoriamente incazzoso, oltre ad esser ministro della Repubblica. Poi, d’accordo, Brunetta a livello di simpatia non sarà Jerry Lewis, ma, ad essere onesti neanche la Bignardi è la Littizzetto. E nel clangore dello scontro dialettico, il gonzo Journalism dell’Era glaciale (dalla prosa di Hunther S. Thompson, straordinaria definizione di Luca Mastrantonio sul Riformista) si è incrinato mostrando i suoi “limiti strutturali”. Che sono quelli della violazione della legge basilare dell’intervista: l’intervistatore non si deve mai mettere sullo stesso piano dell’intervistato (“ma lo sa che lei è antipatico”, “la maestra di mia foglia è stata male davvero”) ammannendo al pubblico le sue storie personali, le sue paturnie e le sue riflessioni. A meno che tu non sia Montanelli, ma onestamente non è questo il caso.

Non è la prima volta, peraltro che Daria si autointervista trasformando il proprio interlocutore in sponda; lo fece, per esempio, con l’altro Dario, Franceschini, che lei utilizzò per evocare le sue avventure ai tempi del liceo (“tu hai fatto lo scientifico, Dario? Io , invece, ho fatto il classico”. Poteva essere inserito in una storica rubrica di Cuore…). E quando non s’intervista spesso –come scrive Grasso- Daria “non riflette mai sulle risposte dell'interlocutore e va avanti per la sua strada, lastricata di domande già scritte”. Altra caratteristiche dell’intervista: non è esattamente un genere nuovo e –parrà strano- esistono altri che, pur senza avere la straordinaria flotta di cervelli e la faccia di tolla di Daria sono in grado di produrne di discrete (vedi Piroso, Fazio, Cabello o Chiambretti). Inoltre, mentre con alcuni intervistati Daria sfoggia una grinta inattesa, con altri declina verso l’emolliente, vedi il cinguettante colloquio con Anna La Rosa (anni fa) e Corona paragonato a Saviano che è come dire Dumas al Gassman galeotto dei Soliti ignoti (oggi). L’intervista, come diceva Mario Missiroli grande direttore del Corrierone, è “un articolo rubato”: se va bene è merito tuo, se va male la colpa è sempre dell’intervistato. Parliamoci chiaro: Daria Bignardi, con tutto il suo barbarico appeal e la sua invadenza di signora radical chic che legge più volentieri i libri di Noel Coward che quelli di Brunetta, è oggi al di sotto delle sue aspettative. Che sono, beninteso, giustamente alte. Parecchio alte. Sicuramente più alte del suo share, caro direttore Marano…

Francesco Specchia