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Saluto romano, Di Canio insiste

"Dovranno indagarmi ogni domenica"

Nonostante le roventi polemiche suscitate dal suo saluto romano, Paolo Di Canio va avanti per la sua strada: "L'avevo fatto già a Siena, l'ho fatto a Livorno e l'ho rifatto contro la Juventus: mi dovranno indagare ogni domenica - ha dichiarato a una trasmissione tv romana - Le mie idee le conoscono tutti, ho scritto un libro su Mussolini e il ventennio e in Inghilterra il primo giorno ho venduto 1.320 copie in due ore".

Né l'attacco di una parte della tifoseria biancoceleste né le minacce della Fifa l'hanno scosso minimamente. Paolo Di Canio non ha alcuna intenzione di rinunciare al suo contestatissimo modo di salutare quello che ha definito "il suo popolo". "Non è apologia di reato, e poi io sono fatto così - ha spiegato l'attaccante intervenendo in diretta telefonica a una trasmissione tv romana (Goal di Notte-T9) - Le mie idee le conoscono tutti, ho scritto un libro su Mussolini e il ventennio: e in Inghilterra il primo giorno ho venduto 1.320 copie in due ore, in fila c'erano anche ebrei e persone di colore...Ma in Italia è diverso, le persone di colore non sono integrate. Il saluto romano però è molto di più: è la storia, e se lo vogliamo negare dobbiamo togliere tante statue dalla Capitale".

"Perché - ha proseguito Di Canio - non si fanno tante storie per la maglietta di Che Guevara portata da Lucarelli? Io le mie idee le ho esposte non ora, ma cinque anni fa: eppure ci si scandalizza solo adesso. Ed è un assurdo dire che io inneggio alla morte di milioni di ebrei. Lo sappiamo tutti che molti commentatori che in questi giorni mi hanno attaccato hanno sotto la camicia la maglia di Fidel Castro. Curzi mi aveva difeso un anno fa, quando feci quel saluto nel derby: allora avevo la faccia molto arrabbiata, e poteva sembrare davvero un saluto fascista. A un anno di distanza, dopo un gesto molto più tranquillo, la stessa persona mi condanna, chiede addirittura che io venga messo fuori dalla Lazio".

"Ho sentito in questa settimana tante cavolate - ha anche detto il giocatore laziale - Capisco chi fa la differenza tra fascismo e comunismo, quando dice che in Italia puo' esser ferito la memoria di chi visse il ventennio, mentre i misfatti del comunismo sono lontani per noi: ma il mio non e' un gesto politico. Ribadisco che non voglio offendere nessuno, perche' io non sono mai contro, ma a favore. E figurarsi se protesto perché Lucarelli saluta col pugno chiuso, ognuno ha la sua libertà. Io chiamo in causa non Lucarelli e le sue idee, ma l'opinione pubblica che si indigna per una cosa e non per un'altra: fate una regola per far rimanere fuori dagli stadi tutte i simboli politici. Comunque quando lui si è messo la maglietta di Che Guevara sotto la maglia della nazionale under 21 nessuno ne ha parlato, io invece sono stato in prima pagina per una settimana. Ora ci saranno altre partite, ma torneranno a strumentalizzare tutto solo quando ci sara' il ritorno di Lazio-Livorno e le elezioni saranno ancora piu' vicine"