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Per i Duran un ritorno al futuro

Sette vite.

Come i gatti. I Duran Duran hanno attraversato i fasti degli anni 80, affrontato il lento declino che li ha accomunati ad altri fenomeni musicali di quel decennio, goduto un ritorno clamoroso nei primi 90, facendosi largo tra i mille gruppi grunge con una super hit come "Ordinary World". E poi ancora sull'ottovolante, con un passaggio di millennio ridotti a due membri originali su cinque e vendite da gruppo di liscio. Quindi la reunion del 2001 con la formazione originale, che ha improvvisamente "scongelato" fan scomparsi da vent'anni: due tour mondiali e un disco di buon successo. Peccato che il disco che doveva consolidare tutto questo, "Red Carpet Massacre", si sia rivelato il più grosso flop della loro carriera. Cose che capitano quando ci si allontana troppo dalla propria essenza e si prova a fare ciò che non si è, attratti dal miraggio delle classifiche.

Fortuna ha voluto che questo permettesse ai Duran di incontrare sulla loro strada Mark Ronson. Un produttore che ha fatto la fortuna di Amy Winehouse, Adele, Robbie Williams e Kaiser Chiefs. Da fan dei primi lavori del gruppo ha detto loro solo una cosa: "Là fuori c'è un sacco di gente che vi imita e voi fate tutt'altro? Dovete tornare e dire che siete voi i numeri uno di quel sound".

Il rischio era quello della parodia, un gruppo di cinquantenni che scimmiotta se stesso. E invece "All You Need Is Now" è il miglior album della band dall'anno di grazia 1982. Nove brani (in attesa della versione estesa su cd) che potrebbero essere tutti potenzialmente dei singoli, riuscendo a coniugare freschezza compositiva e modernità di suoni con un'impronta al 100% duraniana. Trovano posto anche due ospiti d'eccezione, Ana Matronic degli Scissors Sisters su "Safe", brano funky disco nella piena tradizione della band statunitense, e Kelis in "The Man Who Stole A Leopard", il vero gioiello dell'album, un pezzo che entra di diritto nella top ten di sempre dei DD tra infiniti strati di tastiere e una melodia malinconicamente affascinante. "Runway Runaway" e "Blame The Machine" sono due cavalcate ballabili che sarebbero state benissimo su "Rio", mentre  "Being Followed", con una sezione ritmica sugli scudi, rispolvera l'anima più dark del gruppo, al punto che il riff di chitarra cita "A Forest" dei Cure. Non mancano le ballad o i brani di atmosfera, come l'intensa "Before The Rain", che avvicina nell'incedere "Russians" di Sting. Completano il lotto la disco-pop scatenata di "Girl Panic" e, ovviamente, la title track, nonché primo singolo, manifesto di questi Duran, tra la modernità della strofa e la forza melodica del ritornello.

Tutto questo senza una casa discografica. Che sia anche qui il segreto? A volte la libertà compositiva paga. Questo è uno di quei casi.

Massimo Longoni