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Laura Pausini senza segreti

Nella biografia "Una storia che vale"

Forse non tutti sanno che la prima canzone che Laura Pausini ha cantato con suo padre è stata "Dolce Remì", che prima di "Io Canto" aveva inciso un cd di cover a 12 anni, con le amiche Lorena e Ottavia provava le coreografie per le serate al pianobar.

O che esiste la versione inglese de "La Solitudine": "Loneliness". E' tutto scritto nella biografia "Laura Pausini - Una storia che vale" dello scrittore e critico musicale Michele Monina.

Quasi 50 milioni di dischi venduti nel mondo, carattere di ferro, instancabile. Secondo te qual è la molla che ha spinto la Pausini a non mollare mai?
Credo che Laura Pausini sia un caso esemplare di tenacia e ostinazione in un mondo, quello della musica, dove spesso si vedono fiamme accendersi e spegnersi nel volgere di una sola stagione. Se si considera che lei, come tanti, è partita da Sanremo, non c'è che l'imbarazzo della scelta nel cercare esempi di meteore, magari anche di talento, che non ce l'hanno proprio fatta a rimanere sotto i riflettori. Nel suo caso, credo, oltre al talento, c'è stata davvero la forza di volontà a spingere in direzione del successo. Nel corso di questi ormai diciassette anni di carriera non c'è stata una sola pausa significativa, solo qualche vacanza tra un disco, un tour promozionale, una tournée, e via, di nuovo un disco, come in loop. Io non so se lei avesse coscienza, quando ha calcato per la prima volta le assi dell'Ariston, che un giorno sarebbe diventata la cantante italiana più famosa al mondo, ma sicuramente non ha mai smesso di sognarlo, finché tutto questo non è diventato realtà.

Baglioni ha rappresentato un vero portafortuna per la Pausini. Come mai il cantautore l'ha presa sotto la sua 'ala'?
Onestamente non ho ben chiaro il motivo per cui il cantautore romano ha deciso, a inizio carriera, di spingere in qualche modo la Pausini. O meglio, immagino che sia stata per una mera questione di feeling e di opportunità. Feeling perché, chi li ha visti duettare può confermarlo, è evidente che tra i due c'è una bella sintonia, opportunità perché, d'altra parte, mettere sotto la propria ala protettiva una giovane artista che ha già venduto qualche milione di copie in tutto il mondo male non fa di certo. Del resto Baglioni ha avuto una sorte non tanto diversa da quella della cantante romagnola, molto amato dal pubblico e praticamente ignorato dalla critica, incapace, all'epoca, di riconoscergli quel talento vocale e compositivo che, invece, gli riconoscerà negli anni Ottanta e Novanta. Nel caso della Pausini, a dirla tutta, questo riconoscimento ancora deve venire, ma del resto Laura è ancora giovane, ce la può ancora fare...

Perché hai pensato all'accostamento del Live in Paris del 2005 alla rivolta delle periferie parigine?
Questo è un altro episodio personale. All'epoca degli scontri delle banlieu, quando i giovani di origine maghrebina erano soliti dar fuoco alle auto parcheggiate lungo le strade periferiche come forma di violenta protesta contro l'allora ministro Sarkozy, Italia 1 pensò bene di pubblicizzare la messa in onda del concerto di Laura Pausini a Parigi, quello del cd Live in Paris, con lo slogan "In una Parigi minacciata dall'odio le canzoni d'amore di Laura Pausini". La cosa, onestamente, mi infastidì tantissimo. Mi sembrava una vera mancanza di rispetto, da parte della rete e, supponevo, della stessa artista, nei confronti di chi viveva sulla propria pelle una situazione tanto delicata. Allora, visto che al tempo tenevo una rubrica su Rockstar, mi presi la libertà di dire la mia, usando parole che, sinceramente, non credo siano state graditissime alla diretta interessata. Io, però, mi sono sempre ritenuto libero di scrivere, riguardo la musica, quel che pensavo, senza mediazioni. Ho iniziato a scrivere libri su Vasco dicendo che non ero un suo fan, e sono arrivato già a quattro opere a lui dedicate. Non vedo perché non avrei dovuto fare lo stesso anche con la Pausini, artista che mi incuriosisce molto, ma che sicuramente non è tra le mie preferite, a livello musicale.

(Nella pagina seguente altri aneddoti sulla Pausini e l'opinione sul caso Morgan e Luzzato Fegiz)


Come mai avevate deciso con il tuo gruppo punk di rivisitare "Strani Amori" e dunque fare il tifo per Laura a Sanremo?
Questa è una storia che racconto nel libro, cercando, questa volta come nelle mie altre opere, di dare un tocco personale alle vicende che racconto, sempre legate alle vite di altri. In realtà non era affatto nostra intenzione fare il tifo per Laura, in quel lontano 1994. Volevamo semplicemente suonare a un Controfestival che andava in scena in contemporanea alla serata finale di Sanremo, il brano che si diceva avrebbe vinto. Solo che non abbiamo preso in considerazione due fattori fondamentali. Primo, nessuno tra il pubblico aveva seguito le serate precedenti del Festival, quindi la nostra versione di 'Strani amori' suonava per tutti solo una canzone d'amore anonima cantata in maniera sguaiata da quattro deficienti vestiti da punk. Secondo, in barba alle previsioni di critici e bookmaker, il Festival l'ha vinto Aleandro Baldi, sputtanando in qualche modo il nostro piano eversivo.

Sei stato invitato in America Latina per seguire Laura, poi la chiusura del giornale? Hai mai pensato a quello che sarebbe potuto accadere in quel mese se tu fossi andato?
Ci ho pensato sì. A invitarmi fu l'ufficio stampa della sua casa discografica, dopo che mi ero preso agio di stroncare Resta in ascolto sulle pagine di Tutto Musica. Ci ero andato giù pesante, come spesso mi capitava. E invece di ricevere le solite telefonate minatorie da parte dei discografici, se non addirittura degli artisti, ho ricevuto un invito per seguire in prima persona un tour promozionale in Sud America. Considera anche che all'epoca Tutto Musica, benché in crisi di vendite, era la rivista ampiamente leader di mercato, quindi avrebbero preso due piccioni con una fava. Mi avrebbero convinto che mi sbagliavo, pensavano, e al tempo stesso si sarebbero guadagnati un bel servizio in una rivista che nell'ultimo anno aveva dedicato due copertine ai Muse, fregandosene di una come lei. Invece Tutto Musica chiuse un mese dopo, e non se ne fece nulla. Secondo me mi sarei proprio divertito, a meno che l'intenzione non fosse quella di farmela pagare, magari lasciandomi in uno dei peggiori bar di Caracas, in balia di qualche brutto ceffo.

Hai sentito qualcuno dell'entourage di Laura? Sai qual è stata la sua reazione alla biografia, se le è piaciuta o no?
No, non ho sentito direttamente qualcuno del suo entourage. Per mia abitudine, sempre per poter mantere uno sguardo e una voce liberi, non sono solito coinvolgere i diretti interessati nei miei lavori. Studio, mi documento, scrivo, e solo quando il libro è pronto lo spedisco al cantante di turno. So però da parecchi iscritti al suo fanclub, che mi hanno contattato su facebook, che Laura non ha gradito tantissimo il fatto che il libro sia uscito senza il suo placet. Ma io lavoro così, scrivo e mi prendo le mie responsabilità. Vasco, per dire, ha piazzato la copertina del mio ultimo libro su di lui, Il Vasco che vorrei, in homepage del suo sito ufficiale, e anche in quel caso ha letto il libro quando è arrivato in libreria. Credo che un artista dovrebbe apprezzare uno scrittore che si dedica le proprie energi a raccontare vita e opere, e se così non è, pazienza. I fan, in tutti i casi, continuano a chiedermi l'amicizia sul social network di cui sopra, quindi credo che almeno loro lo abbiano parecchio gradito.

Il mondo della musica è in fibrillazione prima il caso Morgan e poi l'intervista di Fegiz su Rolling Stone...
Credo che le due vicende abbiano parecchi punti in comune. In entrambi i casi si tratta di dichiarazioni piuttosto azzardate, nel caso di Morgan sicuramente fatte in confidenza- lo immagino perché ho intervistato anche io Morgan in più di una occasione, e lui è solito parlare a ruota libera, contando poi sulla sana ratio di chi scriverà l'intervista- nel caso di Fegiz frutto di un momento, immagino neanche troppo raro, di megalomania. Morgan ha sbagliato, perché gli piaccia o meno lui è più un personaggio televisivo che un cantante, almeno per la percezione della gente comune, quindi quando parla lo fa al suo pubblico, spesso sprovvisto di quella cultura che gli permetterebbe di decifrare cosa è buono e cosa è cattivo in quanto sta dicendo. Sbaglia ovviamente anche a parlare di crack come cosa buona e giusta, ma questo è un suo problema, che gli auguro possa risolvere presto. Io, a dirla tutta, trovo forse più vergognoso un collega che sputtana così un artista che si è confidato con lui, che un uomo- Morgan non è un ragazzo, direi- che si mette in luce in tutta la sua miseria (parole sue). Fegiz, invece, è uno di quei casi di giornalisti cui è sfuggita la propria mission. Lui crede che dire che la cocaina e le donne sono il sale della vita, cito a memoria, quindi forse sbagliandomi, è una cosa cool, fregandosene della deontologia professionale. Del resto ammette di non saperne molto di musica, andando per altro a scoprire l'acqua calda. Io penso che se realmente Morgan non andrà a Sanremo, be', allora non ci deve andare neanche lui. Entrambi colpevoli, agli occhi di chi si erge a custode della morale (cioé Masi, Mazza, Mazzi, Meloni, Mussolini e compagnia bella), di apologia della droga. O fuori entrambi, o dentro entrambi. Niente sconti alla casa, questa volta, per favore.

Andrea Conti