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Ghita viaggia tra classica e rock

A Space Scout la giovane cantautrice

Studio, passione e rispetto per la tradizione culturale musicale italiana.

Ecco Ghita, è sia il suo nome vero che quello d'arte ed è il diminuitivo di Margherita, sua nonna.

Sul tuo Myspace ti presenti come "due corde vocali, spesse e grosse" come mai?
MySpace è una vetrina fantastica, ma ti chiede di scrivere qualsivoglia cosa in qualsivoglia luogo. Quella frase di presentazione è sempre stato un cruccio per me, finché non ho deciso di metterci la presentazione delle mie corde vocali: spesse e grosse. È anatomia, niente di più, a corde più lunghe e spesse corrisponde un suono più scuro. Ho studiato tanto la voce e il suono e mi divertiva molto aprire la mia pagina MySpace in questo modo, in fin dei conti la mia voce è la vera Ghita.

Da dove deriva il nome Ghita?
La mia bisnonna, Margherita, era (Nonna) Ghita, per tutti. Ed io anche lo sono. All’anagrafe, niente nomi d’arte, solo un po’ di fortuna. il mio secondo nome è Clara, per questo in internet, in qualsiasi social network sono Ghita Clara. Anche qui non sono stata molto fantasiosa! Il fatto che Ghita sia un nome ‘esotico’ (ho poi scoperto essere un nome indiano e africano) ed io, secondo molti, abbia la faccia da indiana, tunisina, marocchina e via discorrendo è stato solo un caso.
 
Come mai hai scelto come primo strumento la chitarra?
Ho avuto ogni tipo di strumento in giro per casa sin dalla nascita. Dall’hammond alla chitarra, dal piano al sax, dal flauto al mandolino. Ho provato molte strade prima di arrivare alla chitarra. Il mio primo strumento però rimarrà sempre la voce, ho iniziato da bambina e mi hanno educato sempre a pensare alla voce come uno strumento, ed è la cosa che amo di più in assoluto. La chitarra è arrivata dopo, sotto un albero di Natale, dopo un lavoro ai fianchi a mio fratello che, esausto, me l’ha regalata insieme alla mia famiglia. Era classica, poco costosa e perennemente scordata. Da quel momento ci siamo scelte, in un perenne rapporto di amore e odio.
 
Sei passata dalla musica classica e sacra al rock/blues. Cosa hai imparato da questi generi musicali?
La musica classica, insieme a quella sacra, mi ha accompagnato per i primi 10 anni di approccio alla voce in maniera più professionale. Avevo 6 anno, e a 6 anni impari senza accorgertene. Cantando nel coro ho imparato gli elementi dello stare insieme, del divertirsi con la voce, di creare ed armonizzare (sia un accordo che gli animi!), poi che fosse musica cosiddetta ‘colta’ l’ho imparato molto dopo, per me è sempre e solo stata musica. Ho imparato l’elasticità.

Pensi che tra i tuoi colleghi ci sia poco rispetto della nostra cultura musicale?
Troppi ragazzi sono impauriti dalla nostra tradizione colta, quando invece c’è solo da imparare, è importante fermarsi ed ascoltare come la ‘canzonetta’ trovi il suo corrispettivo nei secoli. Pareri, niente di più, ma almeno io mi diverto.

A quando poi la svolta rock?
Ho cantato sempre con gioia, per la voglia di cantare e niente di più. Bisogna dire però che con il rock ho avuto il mio primo approccio al palco da solista, e questo non si può dimenticare. Grazie al rock ho trovato il coraggio di essere sul palco quello che negli anni sono diventata, più smaliziata, pronta a comunicare il divertimento. Con il blues sono arrivata ad equilibrare questi aspetti, grazie anche al fatto di aver cominciato a fare serate solo con i mie brani. Ogni genere ha il suo perché, credo di aver provato a cantare davvero di tutto, perché tutto ti può insegnare.

Quanti testi hai scritto sino ad oggi?
I testi che ho scritto sono innumerevoli. Certo, se contiamo tutti i testi. Le canzoni sono un’altra cosa. Io scrivo da quando ho imparato, non ho mai smesso, ho quaderni e diari ‘poetici’ anche della più tenera età. Nella mia borsa non può mancare un quaderno, una matita e una penna (a seconda dell’umore scrivo con l’una o con l’altra). Sono sempre in giro e avere qualcosa su cui fermare i miei pensieri è per me fondamentale.

Ricordi il tuo primo brano come si intitolava e di cosa parlava?
Il primo brano musicato l’ho scritto verso i 9 anni.. parlava del tempo che andava, dei giorni che passavano lenti. A 9 anni! Chissà cosa mi passava per la testa. In realtà lo avevo musicato a mente, senza fermare nulla su uno strumento, per questo di questa litania sulla vita non rimane che il testo (ben custodito!). Il primo di cui si abbia documentazione sia strumentale che vocale risale ai 15 anni, ma anche di questo è bene che rimanga solo un simpatico ricordo!
 
Hai già inciso un demo?
Ho inciso diversi demo.  Non ho fatto uscire ancora nulla di ufficiale, nessun Ep, demo o disco. Entro in studio e fermo quello che preferisco. Ad oggi quello che presento come demo è un cd con 4 brani che ho registrato con l’aiuto della mia fedelissima band, in quattro momenti diversi. In estate dovrei cominciare a lavorare su quello che potrebbe diventare il mio primo disco, autoprodotto.

Ti sei posta un obbiettivo?
Il mio obbiettivo adesso è fare tutto ciò che è in mio potere fare per raggiungere il mio obbiettivo. Così però è l’obbiettivo dell’obbiettivo. Ok, ricomincio: il mio obbiettivo è non rimpiangere mai nulla, cercare la mia felicità e la mia stabilità in quello che faccio, che è lavorare con la musica, a tutti i livelli. Se dobbiamo parlare di obbiettivo pratico, beh, speriamo di trovare una produzione per il mio disco!
 
Cosa ne pensi del successo dei ragazzi dei talent show nella hit parade?
Penso che la vita di ognuno sia diversa da un’altra. E credo che chiunque abbia il diritto di fare ciò che ritiene più giusto. Il talent show non mi piace concettualmente, soprattutto se “reality”, anche se devo ammettere che guardarli ha il suo lato comico, antropologico e costruttivo. La parola chiave è “successo”: non mi piace il fatto che in classifica ci siano perlopiù ragazzi dei talent show, che a loro volta chissà quante volte avranno provato a sfondare, ma ci sono riusciti solo grazie alla tv, per questo non critico. Non si sa mai quello che succede “dietro le quinte”.  Questo non vuole mettere in dubbio il talento dei ragazzi che partecipano agli show, ma la modalità di uscita, e questo di certo non può dipendere dai ragazzi. Che la discografia sia cambiata, e anche in crisi, non lo devo dire io. Credo anche però che in ogni periodo storico ci sia qualcosa su cui ridire, quello che ci rimane da fare è solo lavorare sodo, e poi, ripeto, penso che chiunque abbia il diritto di fare ciò che ritiene più giusto. L’importante è perseguire il proprio obbiettivo.

Andrea Conti