l'intervista a tgcom24

Ucraina, Mira (Caritas Spes) a un anno dallo scoppio della guerra: "Sembra sia passata un'eternità, non avrei mai immaginato di vivere tutto questo"

"Una persona sa che esistono le guerre, ma quando poi lo sperimenta sulla sua pelle è tutta un'altra cosa", dice a Tgcom24 la volontaria e focolarina 43enne

di Giorgia Argiolas
24 Feb 2023 - 07:03
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L'avevamo lasciata nella regione ucraina della Transcarpazia a pochi giorni dallo scoppio della guerra. Ora Mira, 43enne slovena che dal 2019 vive nel focolare (comunità dell'Opera di Maria) di Kiev e che lavora alla Caritas Spes Ucraina si trova di nuovo nella capitale e, in occasione del primo triste anniversario del conflitto, ci parla dell'anno vissuto. "Quest'anno non è stato un anno, ma un'eternità. Non avrei mai immaginato di vivere tutto questo. Una persona sa che esistono le guerre, ma quando poi lo sperimenta sulla sua pelle è tutta un'altra cosa", dice a Tgcom24.

Un anno fa, quando ci siamo sentite al telefono, era da poco scoppiata la guerra e lei si trovava in Transcarpazia. Da lì, coordinava le evacuazioni delle famiglie e gli aiuti umanitari. Quando è tornata a Kiev? 
Sono tornata a Kiev a fine giugno insieme ai miei collaboratori. All'inizio, la situazione era abbastanza tranquilla, ma poi dal 10 ottobre sono iniziati nuovamente i bombardamenti russi. Ci sono stati momenti in cui ho pensato che forse sarei dovuta andare via perché era difficile lavorare: si doveva sempre andare nei rifugi (al lavoro lo abbiamo, a casa no, è a 10-15 minuti di distanza, quindi ci si mette tra due pareti, dove non ci sono finestre per non rimanere feriti dai cocci), nei quali non c'è Internet. Poi, però, dopo un po', mi sono abituata a questa vita. Certo, non al "tuono" dei razzi, a quello non ci si abitua mai. Successivamente, è cominciata anche un'altra sfida: la mancanza di elettricità e quando non c'è elettricità non c'è il riscaldamento e non c'è Internet. Ecco, tutto questo dura da mesi. In questi giorni, abbiamo avuto l'elettricità perché non sono state distrutte altre infrastrutture elettriche. Questa settimana, però, le autorità ci hanno messo in guardia per eventuali attacchi, siamo prudenti.

Com'è cambiata la sua vita da quando si è spostata a Kiev? 

La situazione è molto diversa da quella in Transcarpazia. Quest'ultima non è stata mai toccata dai razzi, vedi i rifugiati interni, anche lì suonano le sirene antiaeree, ma sai che sei in un posto più sicuro. Qui sei sempre in allerta perché potrebbero esserci attacchi da un momento all'altro. Senti i tuoni dei razzi, che cadono sulle case, ci sono tanti morti e si deve sempre pensare a quello. Si vive di più la paura, insomma.

Ora di cosa si occupa? 

Mi occupo dei progetti nel campo degli aiuti umanitari. Aiutiamo le famiglie a riscaldarsi, diamo cibo, indumenti ecc. in tutta l'Ucraina e specialmente all'Est del Paese, dove ci sono attacchi ogni giorno. Da lì - penso a Kharkiv, per esempio - tanta gente è scappata, noi aiutiamo quelli che sono rimasti. In quei luoghi, abbiamo organizzato alcuni punti di ristoro, dove le persone possono riscaldarsi, prendere un pasto caldo e caricare i cellulari.

Come ha vissuto quest'anno? 
Sempre in pensiero, pensando "forse oggi suoneranno le sirene, chissà come sarà" e che non vivo in un ambiente sicuro. Sento i racconti dei colleghi dai villaggi che hanno subito il terrore degli occupanti, quelli di chi ha tutto distrutto e vive sotto le macerie e mi chiedo: "Cosa posso fare?" Certo, aiuto, ma posso solo alleggerire la situazione. Certa gente vive senza finestre, senza tetto e poi tutti hanno perso qualcuno o hanno qualcuno in guerra e non sanno se domani sarà vivo. Non si può vivere normalmente, si ha una costante preoccupazione. Non è una situazione normale per una creatura umana e in qualche modo bisogna trovare la forza per andare avanti. Per me è molto difficile capire che possa esistere qualcosa del genere, che l'uomo sia capace di fare queste cose terribili. A tal proposito, vorrei raccontare una storia.

Prego.

È la storia della mia vicina di casa: all'inizio della guerra, il marito si è arruolato e lei è andata via dall'Ucraina con i figli. Successivamente, è tornata nel Paese con la famiglia perché voleva stare vicino al marito. Una-due volte al mese cercava di andare a visitarlo - dove si poteva, ovviamente - e di stare con lui un giorno intero. Adesso, però, è a Bakhmut, dove la situazione è pessima, e lei non può andare a trovarlo. Soffre tanto, ogni mattina non sa se riuscirà a sentire il marito o perfino se lui è ancora vivo. È una storia che mi ha toccato tanto: si tratta di una famiglia benestante, per cui ora non è più importante nulla di materiale, solo stare insieme. Anche questo è "bello": vedere come riaffiorano i valori. Atti d'amore che tengono viva la speranza.
 
 
Ora che è passato un anno cosa pensa del conflitto? Come si potrebbe concludere? Pensa si sia fatto abbastanza per la pace?
In questo anno, ho capito tante cose. Ogni conflitto è diverso. È una situazione molto difficile. Non c'è dialogo. Non c'è, da parte della Russia, un desiderio di parlare. E in queste situazioni cosa si fa? Ci si protegge, altrimenti muoiono tutti. Non si riesce a pensare al dialogo in queste condizioni. Lo provo sulla mia pelle: quando sono in pericolo, devo solo cercare dove nascondermi. È più facile pensarci in un contesto più pacifico. Prima dicevo che i russi dovevano manifestare, scendere in piazza, ma ora capisco e vedo quanto è forte la propaganda di Putin. Non possono fare nulla perché vengono messi in prigione. Anche in Russia la gente soffre. Bisogna fare in modo che il sistema crolli. Tante volte mi chiedo: "Ma non si può fare niente?" Un anno di guerra, così tanti morti, non solo dalla parte ucraina, ma anche da quella russa. Non c'è ragione, davvero. È terribile. E la propaganda russa va avanti indisturbata. Se la gente vedesse cosa accade nelle zone devastate dalle bombe con i propri occhi forse qualcosa cambierebbe. Di recente, un mio collega di Mariupol mi ha raccontato che i russi hanno distrutto il suo appartamento e suo nipote autistico è dovuto scappare. Veramente, quanti dolori. Io ho qui i risultati che Putin non è venuto a liberare nessuno, come dice. Non c'è nessun segno di risoluzione, servirebbe un miracolo, io non vedo un'altra soluzione adesso.
 
 
Si aspettava che la guerra durasse un anno? 
Pensavo finisse prima. Inizialmente dormivo tre-quattro ore, mi davo da fare notte e giorno, cercavo di fare il massimo per aiutare. Poi, dopo 2-3 mesi ero molto dispiaciuta, non avevo più la forza di fare nulla, mi sembrava che nulla avesse più senso. Per fortuna, ho continuato a sentirmi utile, ad aiutare le persone, questo mi ha dato la forza insieme al rapporto con Dio. Altrimenti non avrei saputo come sopravvivere alla guerra. L'aspetto positivo è che c'è tanta solidarietà, questo ti dà la forza di andare avanti.

Un auspicio per il futuro?
Per la pace, dobbiamo combattere contro la violenza e l'odio, educare le nuovi generazioni a contrastarli affinché queste guerre non si ripetano.

Dalle Caritas locali aiuti per 3 milioni di persone - Secondo quanto emerge dai dati diffusi da Caritas Internationalis in una conferenza stampa, le due Caritas locali, Caritas Ucraina e Caritas-Spes Ucraina, hanno offerto assistenza umanitaria a un totale di 3 milioni di persone. Sono stati forniti circa 3,7 milioni di generi alimentari e non alimentari; sono stati offerti 637mila rifugi; sono stati forniti 192mila servizi di assistenza sanitaria e psicosociale; sono stati garantiti 377mila servizi di protezione; sono stati distribuiti oltre 1,5 milioni di articoli sanitari e igienici; e 107.600 hanno ricevuto assistenza in denaro.

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