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Turchia, la repressione colpisce anche i giornalisti: 42 arresti

Lʼaccusa è di aver sostenuto la rete di Fethullah Gulen, che Ankara ritiene la mente del colpo di Stato. Tra loro anche la veterana Nazli Ilicak, critica contro Erdogan

Continua la controffensiva del governo turco dopo il fallito golpe.

Secondo l'emittente privata Ntv, le autorità hanno emesso mandati d'arresto nei confronti di 42 giornalisti. Tra loro anche la nota commentatrice ed ex parlamentare Nazli Ilicak, già licenziata nel 2013 per aver criticato dei ministri coinvolti in uno scandalo di tangenti. I mandati sono stati spiccati dall'ufficio antiterrorismo della Procura di Istanbul.

La veterana del giornalismo contro Erdogan Nel mandato d'arresto nei confronti di almeno 42 giornalisti l'accusa è di aver sostenuto la rete di Fethullah Gulen, che Ankara ritiene la mente del fallito golpe. Lo riporta la Cnn Turk, secondo cui della lista fa parte la giornalista veterana Nazli Ilicak, 72 anni, da tempo critica nei confronti del presidente Erdogan. Classe 1944, Nazli Ilicak fu licenziata nel 2013 dal quotidiano filogovernativo Sabah per aver criticato dei ministri coinvolti in uno scandalo tangenti. Anche per le insinuazioni di corruzione Ankara attribuisce la responsabilità all'imam Fethullah Gulen. Secondo il quotidiano Hurriyet i mandati sono stati spiccati dall'ufficio della Procura antiterrorismo di Istanbul e le operazioni di arresto sono già in corso.

Dal 15 luglio sono state arrestate in relazione al golpe 13.165 persone, fra cui 8.838 soldati.

Nel mirino anche i docenti universitari La polizia turca ha arrestato altri 31 accademici, tra cui diversi professori universitari, in nuovi raid condotti in 5 province, tra cui Istanbul, contro presunti sostenitori di Fethullah Gulen, accusato da Ankara di essere dietro il fallito golpe. Lo riportano media locali.

Dietro il golpe lo zampino della Cia? Per i media pro-Erdogan il tentato colpe di Stato del 15 luglio sarebbe stato finanziato dalla Cia. Una grande foto di un militare corrucciato e, accanto, il titolo a caratteri cubitali: "Quest'uomo ha diretto il golpe". Nella sua prima pagina, il quotidiano turco Yeni Safak, vicino al presidente Erdogan, punta direttamente il dito contro un generale Usa, John F. Campbell, e gli Stati Uniti, accusando la Cia di aver finanziato il golpe attraverso una banca con sede in Nigeria. Comandante di una missione Nato in Afganistan, Campbell è in pensione da maggio. Le accuse sono destinate a far salire ulteriormente la tensione tra Ankara e Washington, già alta in relazione alla richiesta di estradizione di Fethullah Gulen.

La marcia per la democrazia a Istanbul Una marea di bandiere rosse ha ricoperto piazza Taksim a Istanbul, con decine di migliaia di persone riunitesi per condannare il fallito golpe del 15 luglio, ma anche per pronunciarsi contro una deriva autoritaria, nazionalista o islamista. La marcia era stata convocata dal partito socialdemocratico Chp, il principale partito turco d'opposizione, che aveva chiesto di portare esclusivamente bandiere turche e ritratti di Mustafa Kemal Atatürk, il fondatore della Repubblica nel 1923.

Ma i cori hanno fatto emergere chiaramente quali fossero le simpatie dei dimostranti. Oltre a "Turchia laica", lo slogan più scandito è stato "Taksim da tutte le parti, da tutte le parti resistenza", lo stesso delle manifestazioni antigovernative di Gezi Park del 2013. "È la prima volta che possiamo manifestare a Taksim da tre anni e siamo molto felici, è la democrazia, siamo contro il golpe e a favore delle libertà", ha spiegato a Efe il giovane architetto Can, già assiduo frequentatore delle proteste di Gezi.

"È un giorno storico, la piazza è più affollata che mai, forse anche più che per le proteste di Gezi", ha detto a Efe il vice presidente del Chp. "Se vogliamo fare della Turchia un Paese democratico, lo dovremo fare tutti insieme. Non vogliamo golpe, non vogliamo dittature. Siamo contro ogni tipo di autoritarismo, sia esso con uniforme o civile", ha aggiunto. "No al golpe" era la frase più frequente nei cartelli portati dai manifestanti.

Dalla notte del golpe la piazza Taksim era stata occupata, sera dopo sera, dai sostenitori di Erdogan, come aveva chiesto il governo per "evitare futuri golpe". Ma i manifestanti per la democrazia avevano poco in comune con quelli delle notti precedenti, che per la maggioranza erano uomini giovani e famiglie, con la maggior parte delle donne con il velo o il niqab. Stavolta erano uomini e donne, non velate, in ugual numero: temono che lo stato d'emergenza, che durerà per tre mesi, potrà essere usato dal governo per imporre misure antidemocratiche.