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Brexit: la Gran Bretagna dice addio all'Ue, Cameron si dimette

Tusk: "Momento politicamente drammatico". Shock dei leader europei, "ma lʼUe non è morta". Terremoto sui mercati: Borse nel panico, in picchiata la sterlina

La Gran Bretagna lascia l'Unione europea.

E' il verdetto del referendum sulla Brexit, che ha visto i "Leave" vincere con il 51,9% dei voti. Dopo 43 anni di matrimonio, talvolta burrascoso, Londra divorzia quindi da Bruxelles. Il premier David Cameron si dimette: "Entro ottobre una nuova leadership che guiderà i negoziati". Borse nel panico: sterlina in picchiata e caos nei mercati, Piazza Affari compresa.

Sull'isola la bufera investe tutti, salvo la regina. Via il primo ministro, sotto tiro il leader dell'opposizione, in pieno shock la City, in bilico la stessa integrità territoriale del Paese: con Scozia e Irlanda del Nord decise a non seguire la maggioranza inglese nel divorzio da Bruxelles.

Le dimissioni di David Cameron - David Cameron, travolto dal referendum che egli stesso aveva convocato per un calcolo kamikaze di politica interna, ha annunciato le dimissioni. Resterà in carica giusto tre mesi, da anatra zoppa, in attesa che il Partito Conservatore si dia un nuovo leader: probabilmente l'ex sindaco Boris Johnson, determinante per la vittoria di venerdì dei Leave.

Le Borse prime vittime di Brexit, Piazza Affari -12% - E intanto sulle Piazze borsistiche del pianeta, dall'Asia alle Americhe, è un inseguirsi di cattive notizie. La sterlina va a picco, Wall Street arretra sulla scia dei listini del Vecchio Continente, dove Milano sprofonda di oltre 12 punti. Mentre l'indice londinese Ftse limita la perdita a un 2,5%, ma in un clima nervoso e popolato d'incognite. Dalle istituzioni finanziarie le prime indicazioni sono quelle rivolte ai due divorziandi, Ue e Gran Bretagna, affinché collaborino almeno "per assicurare una transizione morbida verso nuove relazioni economiche", come afferma la numero uno del Fmi, Christine Lagarde.

Strasburgo a Londra: "Avviare subito l'iter" - La priorità del momento è fissare una sorta di road map fra Bruxelles e Londra. La reazione di Ue e Parlamento Europeo è a cavallo fra cautela e irritazione. Strasburgo chiede alla Gran Bretagna di avviare subito il suo iter, senza dilazioni, mentre il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, prova a esorcizzare il timore di un effetto domino dicendosi convinto che non si tratti della fine del progetto europeo e che si andrà avanti in 27.

Sulla stessa linea la cancelliera Angela Merkel, che pure non nasconde la ferita provocata dal "taglio netto" dei sudditi di Sua Maestà. Un mix di inviti e moniti s'incrocia anche da parte dei leader globali: dal Papa, a Barack Obama, a Vladimir Putin, che a dar retta al ministro degli Esteri britannico, Philip Hammond, uno dei cameroniani investiti dalla sconfitta referendaria, dovrebbe avere da celebrare per lo strappo imposto dagli euroscettici. Dalla Nato, del resto, arriva l'invito a puntare sul legame atlantico con Londra, visto che quello europeo appare ormai compromesso. O quasi.

Johnson: "Percorso da completare senza fretta" - Johnson, candidato numero uno a subentrare al numero 10 di Downing Street, ha a sua volta abbassato i toni: rivendicando la vittoria, dopo aver reso l'onore delle armi all'amico-nemico Cameron, ma osservando che la Gran Bretagna "resta parte dell'Europa, una grande potenza europea", sebbene intenda "districarsi" dal legame con Bruxelles. E comunque descrivendo un percorso da completare "senza fretta" e senza ricorrere per ora a quell'articolo 50 del Trattato di Lisbona che l'Ue, per chiarezza, vorrebbe a questo punto veder invece invocato.

Farange, Salvini e gli euroscettici - A tenere i toni alti provvedono d'altro canto gli euroscettici storici a cominciare da Nigel Farage, leader dell'Ukip, che esalta "la vittoria della gente comune contro le grandi banche, il grande business e i grandi politici". E contagia d'entusiasmo, in giro per il continente, figure come Marine Le Pen o Matteo Salvini. Mentre dal Labour, alle prese con una faida interna contro il leader anti-austerity Jeremy Corbyn, colpito pure lui in qualche modo dalla sconfitta di Remain, torna a farsi sentire la voce, non troppo popolare, ma mediaticamente influente, di Tony Blair che azzarda addirittura una sorta di congelamento del risultato referendario. Improbabile, in una Gran Bretagna dove oltre 17 milioni di elettori hanno appena detto "Leave".

Tusk: "Momento politicamente drammatico" - L'Europa perde quindi il suo primo pezzo e, mentre le Borse in un giorno hanno bruciato 637 miliardi, si prepara ad un futuro che ora appare incerto come mai in 70 anni. "Non nascondo che il momento è politicamente drammatico", ha ammesso il presidente del Consiglio Donald Tusk quando non c'è più alcun dubbio sullo scioccante esito del referendum che cambia la storia della Ue.

Cameron: "Niente cambierà per italiani in Gb" - Dimettendosi, Cameron, che ha avuto colloqui con vari leader fra cui Matteo Renzi, ha assicurato che "la volontà del popolo sarà rispettata". Ma ne ha affidato l'attuazione al successore. Mentre ha escluso che cambi qualcosa per gli europei che già sono in Gran Bretagna: italiani inclusi, ha fatto eco il ministro Paolo Gentiloni, di fronte alle preoccupazioni di centinaia di migliaia di connazionali d'oltre Manica.

Renzi: "Voltiamo pagina, l'Europa resta la nostra casa" - "Il popolo britannico ha scelto, noi rispettiamo la decisione, ora si volta pagina", ha detto Matteo Renzi da Palazzo Chigi dopo una riunione con Padoan e Visco, assicurando che per l'Italia "l'Europa è la casa nostra, dei nostri figli e nipoti". Ma si è anche detto convinto che "la casa va ristrutturata".

"Intendiamo riaffermare la validità storica e l'importanza per il futuro dei nostri giovani dell'Unione europea e delle sue prospettive che vanno rilanciate con convinzione", ha invece dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il "piano B" della Germania, un accordo di associazione doganale con il Regno Unito -E dalla Germania trapela il "piano B" del ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble: offrire al Regno Unito un accordo di associazione doganale simile a quello in vigore dal 1963 con la Turchia, escludendo però quelle ipotesi di integrazione in senso federalista vagheggiate da popolari, socialisti e liberali al Parlamento e che comporterebbero eurobond o una garanzia comune dei depositi bancari. Anzi, secondo il documento, Berlino si dovrebbe preparare a resistere all'offensiva che "Commissione europea, Francia e Italia" potrebbero lanciare "sfruttando l'insicurezza del momento".