S. Raffaele: suicidio che evita cancro
Si possono definire, in modo paradossale ma preciso, cellule stanche da morire: sono le plasmacellule, che svolgono il compito di sentinelle del sistema immunitario. Queste cellule muoiono intossicate dalle scorie della loro efficientissima produzione di anticorpi, e questo non accade a causa di un errore: la loro morte, infatti è programmata perché, se vivessero troppo a lungo, potrebbero causare linsorgenza di malattie autoimmuni o tumori.
Il meccanismo è stato scoperto da un gruppo di ricercatori del San Raffaele, in collaborazione con l'Université de la Meditérranée di Marsiglia e le Università di Brescia, Genova e Torino, ed è stata possibile grazie a finanziamenti dell'AIRC, del MIUR e di Telethon..Lo studio, in via di pubblicazione sull' EMBO Journal, rivista dell'Organizzazione Europea di Biologia Molecolare, fornisce anche una spiegazione dell'efficacia antitumorale, finora non compresa, di alcuni farmaci basati su sostanze che inibiscono i proteasomi, ossia le strutture cellulari deputate a smaltire gli scarti del processo di sintesi degli anticorpi.
Gli studiosi del San Raffaele spiegano che quando il nostro fisico subisce lattacco di virus e batteri, ad esempio nel caso di un raffreddore, alcune cellule del sistema immunitario, i linfociti B, mutano la loro struttura e si trasformano in plasmacellule, elementi in grado di produrre migliaia di anticorpi al secondo. Questa frenetica attività non è però esente da errori e dà origine a una certa quantità di materiale di scarto. Questi rifiuti si accumulano finché non vengono smaltiti da altre strutture cellulari, i proteasomi. Dopo 4 o 5 giorni però, all'interno della cellula scatta il meccanismo di morte programmata, chiamato apoptosi. In questo modo termina la produzione di anticorpi, ma nel caso in cui l'infezione non fosse ancora finita, entrerebbero in funzione nuove plasmacellule per produrre nuovi anticorpi.
Per garantire una così elevata produzione di anticorpi, le plasmacellule - spiegano i ricercatori - devono essere fabbriche molto più efficienti delle normali cellule. C'è però una funzione cellulare che non sembra possa migliorare: lo smaltimento del materiale di scarto prodotto nella sintesi degli anticorpi. Infatti il numero dei protesomi, che hanno appunto la funzione di smaltimento delle scorie, diminuisce anziché aumentare proporzionalmente alla crescita della produzione. Le plasmacellule quindi iniziano ad accumulare scorie che a lungo andare diventano tossiche e le inducono alla morte per apoptosi.
Questo processo, definito e descritto dai ricercatori, è "un processo perfettamente calibrato - spiega Simone Cenci, del San Raffaele, primo autore dello studio -. L'apoptosi scatta solo quando la giusta quantità di anticorpi è stata prodotta. Se le plasmacellule morissero anzitempo, l'organismo umano sarebbe sconfitto dalla malattia che lo ha aggredito, ma se il meccanismo di morte programmata non scattasse a tempo debito potrebbero insorgere malattie autoimmuni o forme tumorali".
Sottolinea inoltre Roberto Sitia, docente di Biologia molecolare e cellulare dell'Università Vita-Salute San Raffaele, che la conoscenza di questo meccanismo aiuta anche a capire perché i farmaci inibitori dei proteasomi si sono rivelati ottimi strumenti nella lotta ad alcune forme di tumore, anche se sino ad ora la ragione della loro efficacia era rimasta oscura: "I proteasomi delle cellule tumorali sono normalmente in grado di smaltire le scorie derivate dall'attività vitale della cellula. Ridurre o bloccare con i farmaci questa capacità significa indurre artificialmente nelle cellule tumorali il meccanismo di suicidio programmato: le scorie si accumuleranno sino al massimo livello sostenibile e infine la cellula tumorale cesserà di vivere".
La scoperta rappresenta quindi non solo un passo in avanti nella conoscenza del funzionamento del nostro sistema immunitario, ma potrebbe quindi avere importanti riflessi nella cura dei tumori, anche se saranno necessari ancora anni per avere delle ricadute nella pratica clinica.