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Tatuaggi: un'arte senza tempo

Tecniche, usi e modi

03 Feb 2006 - 15:21

Ammicca malizioso su una spalla o su un decolletè ardito, fa capolino dietro a jeans a vita bassa. Un sole, una luna, un serpente o un gabbiano, ma anche draghi, maghetti e fate e soprattutto motivi tribali e ideogrammi, queste le icone più ricorrenti. E’ il tatuaggio, simbolo di appartenenza sociale, ma anche di trasgressione e protesta, mezzo di aggregazione, ma anche di ghettizzazione. Marchio. E sempre più elemento fashion, accessorio di moda e di arte atemporale. Sarà lui il protagonista della undicesima edizione di Milano Tattoo Convention, dal 10 al 12 febbraio, il più importante evento europeo e il terzo su scala mondiale nel settore.

Colorare il corpo, modificarlo, porre segni distintivi su alcune delle sue parti più in vista, sono usanze antiche come l’uomo. Le loro origini risalgono a molto prima che i concetti di moda ed esibizionismo venissero codificati all’interno della collettività. Le tribù indiane, gli indigeni dell’Amazzonia, gli aborigeni australiani hanno sempre fatto uso del tatuaggio per ragioni politiche, religiose, o ancor più frequentemente, per demarcare i ranghi di appartenenza e i ruoli in battaglia e nella comunità.
Anche sul piano linguistico è da notare che il temine "tatuaggio" ha origine polinesiana, in particolare tahitiana, e deriva dal vocabolo "tatau", traducibile con "marcare con segni", "scrivere sul corpo".
Le donne arabe usano l’hennè da secoli per decorare artisticamente la loro pelle e i loro capelli.
Più vicini a noi i marinai d’inizio secolo esponevano sul muscoloso avambraccio donnine di dubbia fama e dalla curve sinuose o le iniziali del nome della propria donna lasciata chissà in quale porto del mondo. E i prigionieri di ogni tempo vengono "marcarti" per connotare la loro posizione di reclusi e diversi.

La pratica di tatuarsi, nata per soddisfare un impulso umano con connotazioni non solo individualistiche, ma anche con risvolti sociali, un atto sociale primitivo dunque, si è oggi però trasformato innanzitutto in un sinonimo di moda, tendenza.

Il ritorno del tatuaggio ai giorni nostri richiama alla mente la ribellione e la trasgressione. Ne sono un esempio gli anni '60, in cui chi sceglieva di tatuarsi apparteneva al ceto medio-alto ed era, per lo più, mosso dalla voglia di stupire e porsi in alternativa alla mentalità comune. Con i "punk" ed i "bikers", negli anni '70 e '80, il tatuaggio diventa uno degli elementi cosiddetti "contro", cioè simbolo di contrapposizione. Al tempo stesso, si pone anche come segno di riconoscimento ed appartenenza. Il desiderio di tatuaggio, esploso negli anni '90 tuttavia, insieme con il diffondersi di riviste e centri specializzati, non sembra portare con sé ribellione e rabbia, ma si pone piuttosto come una scelta di stile di vita personale.

I più diffusi oggi, soprattutto fra le giovanissime, sono quelli sulla caviglia e sul sedere giudicati le zone del corpo più sexy da mostrare per sedurre il partner. I tattoo più in voga fra i maschi restano quelli sulla spalla: ben visibili, sono considerati un emblema di virilità. Momento d'oro per i simboli religiosi, soprattutto le croci, ma i più giovani scelgono disegni come il drago o il leone. Simboli di forza vissuti come un antidoto alla timidezza. E l'amore? Nella top ten dei tatuaggi più richiesti primeggia il nome dell'amata.

Diverse le tecniche. Il tatuaggio per puntura consiste nel tracciare il disegno sulla pelle , con un pennello o ricorrendo a stampini incisi, e successivamente nel praticare delle punture molto vicine tra loro mediane un ago intriso della sostanza colorante preferita. Il tatuaggio per cucitura, invece, prevede di far scorrere sotto la pelle un filo imbevuto di colorante facendo attenzione a seguire le linee del disegno precedentemente tracciato. I metodi utilizzati oggi con più frequenza però sono tre: samoano, giapponese ed americano. La tecnica samoana, per ora non rappresentata in Italia, introduce l'inchiostro sotto la pelle per mezzo di un bastoncino cavo e appuntito, che provoca un notevole dolore. La tecnica giapponese prevede che gli aghi siano fatti entrare nella pelle obliquamente, con minor violenza, ma comunque in modo abbastanza doloroso. Infine, la tecnica americana ricorre ad una macchinetta elettrica ad aghi, che determina sensazioni calde, vibranti, ma non dolorose. La componente della sofferenza segna una netta spaccatura tra il tatuaggio odierno, di stampo occidentale, e quello del passato, diffuso in Asia, Africa ed Oceania. In tali contesti l'esperienza del dolore (che da noi viene rifiutata: qui è richiesta solo la tecnica americana) è fondamentale, in quanto avvicina l'individuo alla morte e la sopportazione del dolore diventa esorcizzante nei confronti della stessa. Oltre all'esperienza del dolore, è indispensabile la perdita di sangue. Il sangue è l'indicatore per eccellenza della vita: spargere sangue, in modo controllato e ridotto, quando si esegue un tatuaggio, significa simulare una morte simbolica (Lucia Colombo, Salvioni, 1996).

Farsi tatuare può costare caro però, sia in termini economici che "fisici". I prezzi variano a seconda delle dimensioni dei soggetti. Si va dai 50 euro in su e per farsi colorare la schiena si possono impiegare anche sei o sette ore. Da non tralasciare poi che tatuarsi non è del tutto indolore e che nella maggior parte dei casi, un tatuaggio è per sempre. Ma è proprio questo il suo compito principale, immortalare ricordi importanti, carichi di significato, imprimere per sempre il segno concreto dell'esperienza vissuta. Per raccontare qualcosa di se' agli altri.

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