Nel racconto i retroscena degli scontri
Non voleva il potere in Fiat. Voleva avere in mano le leve del comando dell'azienda per completare la missione per la quale era stato chiamato a Torino e per questo aveva chiesto di affiancare alla carica di amministratore delegato quella di presidente dell'azienda. Per Giuseppe Morchio, l'ex ad Fiat che se n'è andato subito dopo la nomina di Montezemolo ai vertici del Lingotto, è l'ora della difesa.
La racconta La Repubblica attraverso le parole di uno stretto collaboratore di Morchio, una persona che in questi ultimi giorni è stato molto vicino all'ormai ex manager Fiat. Ma era una richiesta che gli suonava quasi naturale, proprio sulla scia della decisione degli azionisti di maggioranza, quindici mesi fa, di affidare a lui il compito di portare fuori dalla crisi l'azienda.
Compito che riteneva di aver portato avanti con scrupolo e determinazione. "Non ho mai pensato" si legge nell'articolo che svela i retroscena degli scontri, "neppure per un attimo, di sostituirmi alla famiglia, volevo completare l'opera per la quale ero stato chiamato a Torino e poi avrei restituit l'azienda".
Tutto, secondo la versione di Morchio, era cominciato lo scorso gennaio, poco prima che scadesse il termine del suo primo anno al Lingotto. L'ex ad racconta di aver manifestato allora a Umberto Agnelli la sua disponibilità a comprare azioni, ma non quelle dell'accomandita, bensì Ifi privilegiate, pagate di tasca sua: un pacchetto che non avrebbe superato il 5%. Umberto gli avrebbe consigliato di parlarne con Gabetti, poi la malattia del presidentesi era aggravata e Morchio stesso avrebbe preferito accantonare il tutto, sempre secondo le sue parole.
Poi, la proposta Morchio di fare il "manager capo-azienda al servizio degli azionisti". Una sfida in cui cimentarmi, secondo lui, un'assurda pretesa secondo la versione della famiglia. Il resto è cosa nota. La morte di Umberto, la nomina di Montezemolo e l'addio dell'amministratore delegato. Con l'apertura del nuovo corso Fiat.