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Jobs Act: a che punto sta la proposta di Matteo Renzi sul lavoro

LʼAd di ManpowerGroup Italia Stefano Scabbio dà i voti alla bozza nota

matteo renzi,blues brothers
ansa

Tgcom24 esplora da alcune settimane il mondo dell'occupazione al tempo della crisi.

In questo articolo riepiloga il dibattito per ora aperto sul Jobs Act promosso da Matteo Renzi. Leggi anche gli altri articoli dello

speciale Sos Lavoro

sugli

italiani all'estero

,

gli errori

di chi si propone per una posizione,

le potenzialità del web

, il mondo della pubblica amministrazione, la

giungla degli stage

, l'importanza di fare

cv e colloquio perfetti

, i

contratti

esistenti, il

mondo degli autonomi

, gli effetti della

riforma Fornero

,

le regole del licenziamento

,

il mobbing

, il ruolo dei sindacati,

i laureati che hanno intrapreso percorsi lavorativi "non convenzionali".

Un occhio all'emergenza tutta italiana dell'occupazione, un pensiero agli Stati Uniti e a quella legge varata nel 2012 dal Presidente

Barack Obama

per rilanciare l'economia. Il

Jobs Act

messo a punto da

Matteo

Renzi

è stato il primo documento ufficiale della sua segreteria e si pone un obiettivo molto ambizioso: dare una risposta a quel

41,6 per cento

di giovani tra i 15 e i 24 anni che chiedono un posto e non lo trovano.

Di fatto, però, un testo definitivo non c'è ancora: quello pubblicato lo scorso 8 gennaio attraverso la

newsletter

e i social network del Pd è il chilometro numero uno di una strada ancora tutta da tracciare. "È una bozza" ripete instancabile il sindaco di Firenze chiedendo "idee, critiche, commenti" per arricchire e migliorare la sua proposta.

In attesa che la direzione Pd del prossimo sei febbraio lo metta a punto, è partita la raccolta di spunti. Il responsabile Economia del partito

Filippo

Taddei

ha annunciato di aver incontrato migliaia di persone, dai sindacati alle associazioni, e che le coperture economiche alla misura arriveranno per un terzo dalla rimodulazione delle tasse e per due terzi dalla razionalizzazione della spesa pubblica.



COM'È STATO ACCOLTO IL JOBS ACT

È praticamente certo che il testo finale del Jobs Act sarà diverso dalla prima versione, ma i commenti non sono comunque mancati.

Tante le bocciature, più o meno temperate, ricevute finora dal documento

.

Netta la stroncatura del capogruppo di Forza Italia alla Camera,

Renato

Brunetta

: "Sembra scritto da dilettanti allo sbaraglio, un po' furbetti, un po' opportunisti, sicuramente molto pasticcioni". Gli fa eco il vicepremier di Nuovo Centrodestra

Angelino

Alfano

: "Job act is the same old soup, cioè è la stessa zuppa di sempre. In inglese si possono dire anche cose che si dicevano in italiano 20 anni fa...".

Più cauto invece, il ministro del Lavoro

Enrico

Giovannini

che teme l'impatto economico del provvedimento: "C'è da dire che molte delle proposte presentate in questa lista prevedono investimenti consistenti".

Dal

fronte

sindacale

è critica la posizione della

Cgil

. "Non possiamo che salutare con favore il dibattito politico che finalmente parla di lavoro e il fatto che il più grande partito del centrosinistra si stia impegnando a fare proposte" premette

Susanna

Camusso

, ma nel merito è netta: "Avremmo sperato in una maggior ambizione, a partire per esempio dalla creazione del lavoro o dalle risorse, penso alla patrimoniale".

Un giudizio, invece, positivo arriva dall'ex ministro del Lavoro

Elsa Fornero

: "Mi sembrano enunciazioni molto buone, c'è continuità - osserva - non una rivoluzione rispetto alla mia riforma. Sono tutti buoni propositi ma poi vanno realizzati e le leggi non si scrivono da soli, sono molti gli attori che poi intervengono. E una volta scritte vanno tradotte in comportamenti, questa è la parte più difficile".

Pure l'

Unione Europea

sembra ottimista: "È un nuovo programma", e sembra "andare nella direzione auspicata dall'Ue nell'ultimo periodo", dice il commissario comunitario per il Lavoro,

Laszlo

Andor

.



I CONTENUTI

Ma cosa prevede nel dettaglio il Jobs Act? Il documento presentato da Matteo Renzi a gennaio è diviso in tre parti. Eccone i punti principali finora noti così come li ha descritti lo stesso Segretario Pd:

STEFANO SCABBIO DÀ I VOTI AL JOBS ACT

La bozza così articolata potrebbe riuscire nell'intento di creare nuovi posti di lavoro? Tgcom24 lo ha chiesto a

Stefano Scabbio

, amministratore delegato di

Manpower Group Italia e Iberia

.


Renzi ha dichiarato che "non sono i provvedimenti di legge a creare lavoro, ma gli imprenditori" e poi come primo atto della sua segreteria pone il Jobs Act. Non è una contraddizione?

Direi di no. Vedendo l'articolazione della bozza attualmente nota del Jobs Act mi sembra che riassuma una serie di proposte anche nate precedentemente e che messe assieme hanno senso. A mio avviso, sono tre i nodi interessanti: 1. Non basta fare decreti legge ma serve una politica industriale soprattutto in settori dove abbiamo una specificità e competenze distintive. 2. Una nuova tassazione sul lavoro: aumentiamo la tassazione sulle rendite, diminuiamo la tassazione sulle buste paga. 3. Lo svecchiamo delle regole che non sempre corrispondono alla realtà: semplicità e trasparenza. Sono tre punti ragionevoli.


Qual è invece il punto debole della bozza?

Quello relativo alla stabilizzazione progressiva con tutele crescenti. Renzi lo inserisce solo per aggirare l'articolo 18. Non si rilancia il lavoro ridefinendo i contratti di stabilizzazione, ma ripensando le regole della flessibilità e gli strumenti di ricodifica delle competenze quando si perde il posto. C'è bisogno di un piano regolatore del mercato che cambi le regole, gli strumenti, i ruoli. I centri per l'impiego e per il lavoro hanno bisogno di un intervento. Così come le regole per l'apprendistato. Al Paese servono risposte su questi punti.

L

e aziende spesso usano la flessibilità in maniera errata: troppi giovani non vengono stabilizzati dopo la scadenza del contratto a tempo determinato perché vengono sostituiti da altre risorse che accettano un nuovo lavoro a tempo. Come si esce da questa spirale?


Se il lavoratore non viene rinnovato, vuol dire che le sue competenze non sono distintive quindi l'imprenditore preferisce la flessibilità alla stabilizzazione. Le aziende hanno bisogno di personale estremamente qualificante nel processo produttivo, mentre le funzioni standard possono essere esternalizzate. I lavoratori che perdono il posto in un mercato efficiente devono poter trovare collocazione immediata: è questo il segreto di un un sistema che funziona. In Inghilterra la flessibilità è la normalità.


Allora il lavoro flessibile dovrebbe essere pagato di più?

Sì, dovremmo scegliere una flessibilità buona che per me è costituita dal lavoro in somministrazione: garantisce le stesse tutele del tempo determinata e a queste aggiunge la formazione. Costa di più perché c'è un margine per il servizio offerto dagli intermediari, ma così l'azienda può restare flessibile. Oggi abbiamo tante forme di flessibilità sbagliata. Come sostiene il senatore Pietro Ichino, non dobbiamo più tutelare il posto di lavoro nemmeno con gli ammortizzatori sociali passivi, ma il lavoratore. Questa seconda tutela si basa sulle sue competenze e quindi sulla sua occupabilità: sviluppando il suo saper fare e il suo saper essere verso le nuove opportunità che le aziende chiedono.


Ma quello della flessibilità non è un tema poco di sinistra?

Può essere così, ma oggi la distinzione tra destra e sinistra su questa materia è venuta meno. Renzi deve dare risposte serie a chi cerca lavoro. Nel Jobs Act andrebbero sviluppare meglio le parti relative alla chiarezza del piano industriale, la flessibilità, la tassazione della rendita e il tema del costo del lavoro.


Un nuovo codice del lavoro più semplice e chiaro pure per le imprese straniere è così importante?

La norma è già passata in Commissione perché proposta dal senatore Ichino. È già in fase di approvazione e prevede una semplificazione del codice del lavoro con maggiori coordinamento e intelligibilità. Gli investitori stranieri sono scoraggiati da due criticità: l'incertezza dei tempi della giustizia e l'incertezza dei costi. Nonostante l'intervento sull'articolo 18 compiuto dall'allora ministro Elsa Fornero, le aziende non sanno mai quanto costerà loro un lavoratore licenziato.


Assegno universale per chi perde il posto di lavoro: è una misura realizzabile davvero?

Non è una misura sostenibile perché a oggi non abbiamo attivato una seria spending review da destinare al lavoro. L'assegno universale sarebbe un costo enorme. A mio avviso la soluzione migliore sarebbe quella di dare dei voucher con una parte coperta dalle aziende e una dallo Stato, come avviene in Francia. Si tratterebbe di un voucher da spendere per riqualificare le proprie competenze e rientrare nel mercato.


Renzi propone di istituire un'agenzia unica federale che coordini centri per impiego, formazione e ammortizzatori sociali: servirebbe?

Nella pratica è soltanto un bel proclama. Basterebbe far funzionare le misure che ci sono già. Esiste un Ministero del Lavoro come cabina di regia, invece la riforma dei centri per l'impiego si potrebbe fare per decreto in brevissimo tempo.


La nuova rappresentatività sindacale invocata da Renzi potrebbe incidere sulla creazione di posti di lavoro?

Entriamo in un terreno complesso. La contrattazione di secondo livello è già stata sancita. Oggi il ruolo del sindacato deve essere quello di sviluppare le competenze dei lavoratori, richiedere alle aziende un aggiornamento continuo. Invece abbiamo un sindacato che ha più un ruolo politico che sociale e questo è un grosso freno al rinnovamento.


Il Jobs Act è un provvedimento sufficiente? Come lo valuta in senso generale?


Serve il passaggio da un cantiere aperto a un piano regolatore vero e proprio. Abbiamo bisogno di una legge elettorale che definisca la maggioranza che poi potrà realizzare compiute riforme per il lavoro.


Pensa davvero che il Jobs Act creerà posti di lavoro?

Quanti secondo la sua previsione?


Impossibile sapere oggi se il Jobs Act farà nascere nuovo lavoro. Prendo atto del fatto che il Governo di larghe intese non ha realizzato le riforme: una cosa assurda. In tutto il mondo i governi di intesa fanno quello che i singoli schieramenti non riescono a fare.