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Br, Diana Blefari si è suicidata

Nel carcere femminile di Rebibbia

La neobrigatista Diana Blefari si è impiccata ed è morta nel carcere femminile di Rebibbia a Roma.

Lo scorso 27 ottobre, la Prima sezione penale della Cassazione aveva confermato la condanna all'ergastolo per la donna, accusata di concorso nell'omicidio del giuslavorista Marco Biagi, avvenuto a Bologna il 19 marzo 2002. La attendeva quindi il carcere a vita.

Il 9 gennaio a Corte di assise di Bologna aveva confermato il verdetto di carcere a vita.

La procura apre un'inchiesta
La procura di Roma ha aperto un'inchiesta e disposto l'autopsia per chiarire le cause del suicidio della brigatista. L'indagine per ora è senza indagati ma i magistrati potrebbero riesaminare l'intero iter giudiziario della Blefari analizzando la sua presunta patologia psichica, come emerso in questi anni dalle numerose richieste di consulenze.

Impiccata con le lenzuola
La donna  era solo in transito nel penitenziario romano, proveniente dal carcere fiorentino di Sollicciano, dove scontava l'ergastolo. Sabato le era stato notificato il provvedimento della condanna definitiva della Cassazione per l'omicidio del giuslavorista bolognese Marco Biagi. Diana Blefari si è suicidata intorno alle 22,30 e per farlo ha utilizzato lenzuola tagliate e annodate. La brigatista, secondo quanto si è appreso, si trovava in cella da sola, ed era detenuta nel reparto isolamento del carcere di Reibbia femminile.

Ad accorgersi quasi subito dell'accaduto sono stati gli agenti di polizia penitenziaria che, secondo le notizie apprese, sarebbero riusciti con difficoltà a sciogliere i nodi delle lenzuola con cui la neo brigatista si era impiccata in cella e avrebbero provato a rianimarla senza però riuscirvi.

NELLA PAGINA SEGUENTE: "UNA MORTE ANNUNCIATA"

La difesa: "Una morte annunciata"
"Quella di Diana Blefari Melazzi è stata una morte annunciata, un suicidio di cui c'erano tutti i segnali". Lo ha dichiarato l'avvocato Caterina Calia, difensore, insieme all'avvocato Valerio Spigarelli, della brigatista suicida. L'avvocato Caterina Calia ha ricordato "le battaglie che da almeno 4 anni stiamo facendo a colpi di perizie per Blefari Melazzi. Era una donna ammalata - ha aggiunto il legale - soffriva di un profondo disagio e aveva bisogno di cure adeguate e di stare in luoghi adeguati che non erano certo il carcere". Secondo la difesa, nel corso di questi anni un consulente di parte aveva anche accertato "un rischio suicidio" per Blefari che in carcere, sempre secondo i suoi avvocati, aveva assunto un atteggiamento di isolamento totale, alternando rari momenti di lucidità ad altri di vero delirio, non parlava con le altre detenute, spesso rifiutava il cibo. Ma i magistrati avevano sempre ritenuto la capacità di essere sottoposta a giudizio della detenuta. "Insomma da anni denunciavamo - ricorda oggi l'avvocato Calia - che Diana non stava bene. Qualcuno adesso avrà capito che il nostro allarme non è mai stato preso in considerazione".

Due giorni fa la visita dello psichiatra
La neobrigatista ricevette l'ultima visita di uno psichiatra in cella due giorni fa. Secondo quanto si è appreso, lo psichiatra avrebbe accertato "'un forte stato di prostrazione". La donna, caduta durante la detenzione in uno stato di profonda depressione, era già stata sottoposta nell' aprile scorso ad una perizia psichiatrica.

I segreti della Blefari
Per gli inquirenti, Diana Blefari avrebbe potuto svelare ancora molti punti oscuri delle nuove Brigate rosse a cominciare dalle armi, tra cui quella usata per uccidere Biagi e D'Antona, e dal nascondiglio dove sarebbero state tenute. Blefari era l'affittuaria a Roma del covo di via Montecuccoli dove fu trovato anche l'archivio informatico delle Br decritatto poi anche grazie alle password fornite dalla ex brigatista, poi collaboratrice di giustizia, Cinzia Banelli.

Forse aveva cominciato a collaborare
Diana Blefari Melazzi sembra avesse cominciato a collaborare con la giustizia. Sabato aveva avuto un colloquio in carcere con alcuni investigatori che risulterebbe non essere stato il primo. Lo stesso giorno, poco dopo il colloquio investigativo, le fu notificata dall'ufficio matricola del carcere la sentenza della Cassazione che la condannava definitivamente all'ergastolo. Poi il suicidio.