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"Mio fratello come Terri Schiavo"

Coma da 19 mesi, "Non lasciatelo solo"

"Qui parlano tutti di eutanasia, ma non fanno niente per aiutarci.

Si oppongono a spegnere le macchine, ma ci lasciano soli. Mio fratello è in coma da 19 mesi, le sue condizioni sono simili a quelle di Terri Schiavo. Ma noi siamo stati abbandonati". Pietro Crisafulli racconta a Tgcom un anno e mezzo di sacrifici per tenere in vita il fratello, disabile dopo un incidente stradale. E supplica: "Aiutateci".

Un calvario, quello della famiglia Crisafulli, iniziato l'11 settembre 2003: Salvatore, 38 anni appena compiuti, sposato con quattro figli, si stava recando in Vespa al lavoro, presso l'Asl di Catania, quando fu travolto da un furgone.

Da quel momento è in stato vegetativo permanente, totalmente tetraplegico, viene alimentato con un tubo come Terri Schiavo. "Solo che lui è cosciente - racconta il fratello Pietro -. I medici sostengono che questo non è possibile, ma io so che è così. Lui comunica con me muovendo gli occhi, ride quando gli faccio gli scherzi, piange quando gli parlo della sua situazione, oppure quando guarda il calendario e si rende conto di quanti giorni sono passati dal momento dell'incidente. Non si muove, è vero, ma cerca di aprire la bocca e muove gli occhi per dire sì oppure no. Per il resto, le sue condizioni sono identiche a quelle della donna americana di cui tanto si parla in questi giorni. Lo so perché sto seguendo con apprensione quel caso, ogni giorno mi collego su Internet, guardo le foto e cerco informazioni che possano esserci utili".

Già, perché dal giorno del terribile incidente, di Salvatore Crisafulli si sta prendendo cura lui, Pietro, che di professione era trasportatore di medicine e che adesso, a sentirlo parlare, sembra un infermiere professionista. "Siamo stati abbandonati da tutti, dai medici, dalle Asl, dallo Stato - dice -. Mio fratello non percepisce nemmeno la pensione d'invalidità, perché le trafile burocratiche sono lunghe e prima che arrivi qualche soldo ci vorranno ancora mesi. E, per il momento, non abbiamo diritto nemmeno a un infermiere che venga qui a casa per aiutarci. Ecco perché ho deciso di lanciare un appello al Governo e alle istituzioni locali siciliane e toscane: aiutateci, noi non ce la facciamo più. Io ho dovuto lasciare il lavoro per seguire Salvatore e adesso non so più come andare avanti".

Subito dopo l'incidente Salvatore Crisafulli fu ricoverato all'ospedale di Catania. Rimase in rianimazione per 53 giorni, durante i quali il fratello Pietro, che vive in Toscana, riuscì a mobilitare uno specialista toscano. "Venne a Messina, visitò mio fratello e ci disse di ricoverarlo al Nord". Poi, senza il consenso della famiglia, fu trasferito all'ospedale di Messina, dove rimase in coma altri 83 giorni.

Era solo l'inizio del calvario: uscito dal coma, il 38enne fu trasferito presso il Centro studi Neurolesi di Messina, dove la situazione peggiorò. "Aveva le piaghe, stava morendo per le piaghe - racconta Pietro Crisafulli, che ha fatto causa al centro messinese -. Lo portammo via, lo curammo noi e intanto io cercavo un centro specialistico al Nord, in cui ricoverarlo".

Dopo il danno la beffa. "Trovai un centro vicino a Imola, che all'inizio sembrava disposto ad accogliere mio fratello, ma poi lo rifiutò perché per la legge italiana Salvatore non era più un "soggetto acuto", cioè una persona dimessa entro 30 giorni dalla rianimazione, e dunque il ricovero non poteva essere fatto", racconta.

Da quel giorno Salvatore viene curato a casa di Pietro, in Toscana. "I centri specializzati non lo vogliono, perché temono che la regione Sicilia non paghi le rette - continua Pietro Crisafulli -. Così siamo costretti a tenerlo qui da me, a pagare due specialisti che ci aiutano a mantenerlo in vita. Abbiamo attrezzato una stanza con tutti i macchinari necessari e io, mia moglie, un altro mio fratello e mia madre ci diamo il turno per assisterlo. Avremmo bisogno, però, dell'aiuto di un fisioterapista neurologico e di un logopedista. In camper sono riuscito persino a trasportarlo a Innsbruck, dove c'era un primario che forse poteva aiutarci. Ma, appena l'ha visto, ci ha detto che sarebbe morto entro 3-4 anni per soffocamento causato dalla tracheotomia cui era stato sottoposto dopo l'incidente. Ci ha consigliato di toglierla, ma in Toscana tutti i medici e gli ospedali che abbiamo contattato si sono rifiutati di farlo. Così, alla fine, l'ho fatto io".

Ora Salvatore respira solo, ma le sue condizioni sono stazionarie. "Non so fino a quando potremo andare avanti così. Forse se le istituzioni ci aiutassero sarebbe diverso, ma da soli non ce la facciamo più - continua Pietro, che per aiutare il fratello ha anche dato vita a un sito Internet, www.11settembrecrisafulli.com, in cui racconta tutta la sua storia - . Io sono cattolico e so che la Chiesa certe cose non le ammette. Ma la sera, a casa, guardo mio fratello e mi chiedo quanto durerà, quanto potremo andare avanti così, con questo dolore continuo, con questa sofferenza sua e anche nostra. E allora penso che, per quanto io ami Salvatore, non è giusto soffrire così. Non è giusto né per lui e né per la mia famiglia. E mi rendo conto che sì, se fosse possibile, metterei fine a tutto questo dolore anche subito, con l'eutanasia".

Tamara Ferrari