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Treviso, denunciata donna in burqa

Ha violato una legge italiana del ʼ75

E' stata denunciata dai vigili urbani di Treviso la donna, 28 anni, originaria del Bangladesh, che nei giorni scorsi era stata vista accompagnare il proprio figlio in una scuola elementare della città indossando il burqa.

Portata al comando la donna è stata identificata e denunciata per la violazione dell'art. 5 della legge n. 152 del 1975, il quale vieta espressamente di indossare in luogo pubblico copricapi che rendano invisibile il volto.

La cittadina asiatica, sposata con un connazionale, dipendente di un'azienda trevigiana, è uscita dall'ufficio dei vigili solo con un velo sui capelli, affermando di aver capito le ragioni della denuncia e promettendo che, d'ora in poi, non indosserà un abbigliamento in contrasto con le norme locali.

La provocazione di una giornalista
Nella città veneta la stessa sorte è toccata ad una collaboratrice del "Corriere Veneto", che, con indosso un turbante, occhiali da sole e tunica nera, si aggirava per la strada per realizzare un servizio sulla reazione delle persone davanti alla presenza di segni di culture diverse.

Dopo il caso della donna del Bangladesh il vicesindaco, Giancarlo Gentilini aveva dato preciso ordine di fermare e tradurre in questura chiunque si presentasse nelle vie trevigiane vestito in questo modo. Quindi anche per la giornalista è scattata la sanzione.
Il direttore del quotidiano veneto, Ugo Savoia, informato della vicenda della giornalista, ha sottolineato che nell'azione non c'era alcun intento di provocazione, ma un tentativo di capire le reazioni sul territorio davanti "alla presenza di segnali di culture diverse". "Da parte nostra - ha aggiunto - non c'era alcun intento polemico e i vigili urbani hanno fatto il loro lavoro. Forse avremmo dovuto avvertire le autorità di quanto abbiamo deciso solo nella tarda serata di ieri, ma ribadisco che non c'è stato alcun intento provocatorio".

Per la deputata verde Luana Zanella: "Non si possono strappare veli, perchè le imposizioni non aprono strade alla convivenza: occorre dialogo, dialogo, dialogo. Non possiamo creare ulteriori muri altrimenti rischiamo anche noi di metterci un burqa immaginario che ci impedisce di comunicare, togliendo la parola ai soggetti interessati, cioè donne che usano da generazioni quel tipo di abbigliamento".