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Mafia, Mannino condannato a 5 anni

Sentenza di corte dʼappello di Palermo

L'ex ministro Calogero Mannino è stato condannato a cinque anni e quattro mesi di reclusione, per concorso in associazione mafiosa, dalla corte d'appello di Palermo presieduta da Salvatore Virga.

In primo grado il 5 luglio 2001 l'imputato era stato assolto. Il dispositivo della sentenza è stato letto dal presidente Virga dopo 5 ore di camera di consiglio. L'accusa aveva chiesto 10 anni di reclusione.

La corte d'appello ha dichiarato colpevole l'ex ministro Dc per il concorso in associazione mafiosa "protratto - si legge nel dispositivo - fino al marzo '94". I giudici hanno anche dichiarato l'imputato interdetto "in perpetuo" dai pubblici uffici e "interdetto legale e incapace di contrarre con la pubblica amministrazione durante la pena". A Mannino è stata applicata anche per un anno la misura di sicurezza della libertà vigilata. La Corte ha assegnato alla parte civile, rappresentata dal Comune di Palermo, una provvisionale di 50 mila euro.

Mannino: "Non me l'aspettavo..."
Sono le prime parole dell'ex ministro, dopo avere appreso la sentenza di condanna. "Ritengo questa sentenza ingiusta - dice Mannino - mi aspettavo una nuova assoluzione che invece non è arrivata". E aggiunge: "Rispetto al dibattimento di primo grado non ci sono stati elementi di novità, non è cambiato nulla. Ecco perché non capisco questa sentenza". E annuncia: "Presenteremo ricorso contro questa condanna".

Il difensore: "Sentenza a sorpresa"
"E' una sentenza a sorpresa, che è in completo contrasto con tutto ciò che è stato prodotto in questi anni". Questo il commento dell'avvocato Grazia Volo, uno dei difensori dell'ex ministro Calogero Mannino, subito dopo la sentenza. Il verdetto, secondo il legale, "è in contrasto anche con le pronunce emesse dalle sezioni unite della Corte di Cassazione nei casi Andreotti e Carnevale, in tema di acquisizione delle prove e concorso esterno".

5 luglio 2001: assolto
Le prime accuse a Calogero Mannino arrivano alla fine degli anni '80 e sono contenute in una missiva del corvo. Per l'anonimo, il politico avrebbe incontrato nella sacrestia di una chiesa, a San Giuseppe Jato, il boss Totò Riina con il quale ne avrebbe patteggiato la resa in cambio di leggi meno severe per combattere la mafia. Nel 1990 un collaboratore di giustizia, Rosario Spatola, parla di Mannino al procuratore Paolo Borsellino, dicendo che il politico è "vicino" alla mafia agrigentina. La vicenda si concluse con un'archiviazione e con la ritrattazione delle accuse.

E' nel febbraio del '94, in piena campagna elettorale, che il nome dell'onorevole Mannino riceve l'avviso di garanzia per mafia dalla procura distrettuale. E' accusato di aver favorito alcune famiglie mafiose della provincia di Agrigento: i Caruana e i Cascioferro.

A toglierlo dall'arena politica furono le manette scattate ai suoi polsi il 13 febbraio del '95. Una sorta di paradosso per un politico che nel '91 sui suoi manifesti elettorali aveva lo slogan contro la mafia "costi quel che costi".  

Nel '95, Mannino, democristiano da sempre, si candida alle politiche con una lista "fai da te". Dodicimila i voti raccolti. Ma nonostante ciò non riesce ad essere eletto al Senato. Rinchiuso in una cella e successivamente agli arresti domiciliari l'ex ministro passa 700 giorni. Ritorna in libertà nel gennaio del '97.