Non perquisirono il covo di Totò Riina
"Il fatto non costituisce reato": con questa formula i giudici della terza sezione del tribunale di Palermo hanno assolto il prefetto Mario Mori ed il tenente colonnello Sergio de Caprio dall'accusa di favoreggiamento alla mafia. Il fatto cui la sentenza fa riferimento è la mancata perquisizione del covo di Totò Riina, il 15 gennaio del 1993, quando il boss di Cosa Nostra venne arrestato.
Il verdetto è giunto dopo circa due ore e mezzo di camera di consiglio. L'assoluzione disposta dai giudici accoglie la richiesta avanzata dai pm di Palermo lunedì scorso, durante la requisitoria, di assolvere Sergio De Caprio, noto come "capitano Ultimo" e di Mario Mori, allora comandante del Ros (Reparto operativo speciale dei CC), ora direttore nel Sisde. Già in precedenza era stato chiesto per due volte al gip di archiviare il procedimento nei confronti dei due alti ufficiali dell'Arma.
Entrambi erano accusati di favoreggiamento alla mafia per non aver immediatamente perquisito la villa bunker di via Bernini, dove Totò Riina si era nascosto con la famiglia. Lo fecero 19 giorni dopo: un ritardo per l'accusa "inspiegabile". Secondo gli inquirenti questo lasso di tempo permise ai fedeli del padrino di portare via dalla casa del capo documenti importanti.
Gli imputati non erano presenti all'udienza odierna. Quando però il capitano Ultimo è stato informato telefonicamente dal suo legale, ha esultato: "Mi sono tolto un grosso peso". L'avvocato Francesco Antonio Romito ha aggiunto: "Questa sentenza favorevole ridà al mio assistito quella felicità che è stata turbata". Soddisfazione per il verdetto viene espressa anche dal prefetto Mario Mori, contattato al telefono dall'avvocato Pietro Milio.