di Eugenio Montale
Il viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
lanima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir dacqua che rimbomba.
Un altro, altracqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
i soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra lisole dellaria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie:
se nellora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti sappressa
lora che passerai di là dal tempo:
forse solo chi vuole sinfinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche lavara mia speranza.
A nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
loffro in pegno al tuo fato, che ti scampi.
Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non mode
salpa già forse per leterno.