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Rogo Thyssen, oggi è attesa la sentenza

Torino, chiesti 16 anni e mezzo per lʼamministratore delegato della società tedesca

Ansa

Fiati sospesi tra i familiari delle vittime dell'incidente accaduto nella fabbrica di Thyssenkrupp di Torino, dove un rogo divampato la notte del 6 dicembre 2007 uccise sette operai.

Ma anche per i responsabili del terribile accaduto che rischiano: dai nove anni, ai 16 e mezzo chiesti al principale imputato, l'a.d. Herald Espenhahn (che risponderà dell'ipotesi di reato più grave). Oggi, infatti, la Corte d'Assise del capoluogo piemontese emanerà la sentenza.

Dopo la novantina di udienze che dal 15 gennaio 2009 si sono succedute, se venisse accolta dai giudici la richiesta dei pm (Raffaele Guariniello, Francesca Traverso e Laura Longo) che contestano l'omicidio volontario con dolo eventuale di Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi, si aprirebbe una fase del tutto nuova nel diritto sulle "morti bianche".

Le richieste di condanna: 16 anni e mezzo per il principale imputato, l'amministratore delegato Herald Espenhahn (che risponde dell'ipotesi di reato più grave), 13 anni e mezzo per Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, nove anni per Daniele Moroni, accusati invece di omicidio colposo con colpa cosciente. Non solo. I pubblici ministeri hanno anche chiesto un milione e mezzo di multa, il blocco e la revoca di finanziamenti e sovvenzioni, lo stop a qualsiasi pubblicità per un anno, la pubblicazione della sentenza sui quotidiani internazionali e 800 mila euro come "prezzo del reato". A tutto questo si aggiunge l'apertura di un'inchiesta su presunti testimoni falsi, una decina, portati dalla difesa.

Andrea Garaventa, uno dei legali della difesa, ha dichiarato nei giorni scorsi che il processo ormai è "diventato un processo politico"; un'accusa "assurda" ha aggiunto il collega, Franco Coppi: "Sarebbe come dire - ha detto spiegando il suo punto di vista - che l'amministratore delegato avrebbe dovuto accettare che si verificasse il tragico evento e non solo prospettarlo. Ammetterlo significherebbe dire che è un assassino".

Per l'accusa, invece, Espenhahn, descritto in aula da tutti come ''persona colta e tecnicamente preparata", si è disinteressato dello stabilimento torinese che aveva deciso di chiudere entro l'anno rinunciando a investire nella sicurezza antincendio, accettando così il rischio di un disastro, confidando a torto solo sulla "buona sorte".