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Un tesoro alimentare nella pelle della trota iridea

Contiene molti più omega 3 degli stessi filetti del pesce e si candida a diventare un prodotto di grande interesse nutrizionale 

La pelle della trota iridea nasconde un vero e proprio tesoro alimentare: si tratta degli omega 3, grassi polinsaturi considerati essenziali per la nostra salute. A rivelarlo è una ricerca su "Waste and Biomass Valorization" condotta dall'Università di Firenze insieme all'Ateneo di Udine

Le principali fonti di omega 3 sono i pesci grassi, come le acciughe, le aringhe, lo sgombro, il salmone, le sardine, la trota e il tonno, ricchi soprattutto degli omega 3 EPA (acido eicosapentaneoico) e DHA (acido docosaesaenoico). "La pelle di trota – commenta Giuliana Parisi, responsabile del team di ricerca e docente di acquacoltura nell'Ateneo fiorentino – è una fonte preziosa di omega-3: il contenuto medio trovato in essa ammonta al 25% degli acidi grassi totali, a fronte del 15% contenuto nei filetti degli stessi animali. E la cosa più importante è che questa percentuale tende a restare costante nella pelle, a prescindere dalla dieta somministrata agli animali".

 

Molte specie di pesce, infatti, non sono in grado di produrre ex novo gli acidi grassi EPA e DHA e devono pertanto introdurli con la dieta per poi accumularli nei loro tessuti. Circa il 60% dell'ammontare complessivo della produzione di prodotti ittici destinati al consumo umano deriva dall'acquacoltura, che necessita di tutte quelle risorse naturali che costituiscono gli ingredienti dei mangimi, come la farina e l'olio di pesce, fonte principale di omega-3 nella dieta dei pesci allevati.

 

"Negli ultimi 30 anni, a causa del depauperamento degli stock ittici naturali, gli ingredienti di origine marina sono stati fortemente ridotti e sono stati sostituiti con fonti proteiche (farine) e oli di origine vegetale. Questo cambiamento nei mangimi ha fatto sì che il contenuto di omega-3 nel pesce allevato si sia nel tempo ridotto:  nel prossimo futuro non solo dovremo far fronte alla richiesta di alimenti di origine animale (soprattutto pesce) da parte di una popolazione mondiale crescente, ma ci ritroveremo anche con alimenti di minor qualità nutrizionale", precisa la ricercatrice Unifi Giulia Secci, fra gli autori dello studio insieme ai giovani studiosi Leonardo Bruni e Yara Husein, e a Francesca Tulli, docente a Udine.

 

"È doveroso dunque – conclude la docente Giuliana Parisi – rivedere le nostre abitudini alimentari e valorizzare la pelle del pesce, parte "non nobile" ma estremamente ricca, per evitare di gettare nel cestino nutrienti essenziali come gli acidi grassi, nonché il lavoro quotidiano di chi si impegna ad aumentare la sostenibilità del settore acquacolturale".

 

 

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