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Cile e Argentina: in motocicletta dal Tropico alla Terra del Fuoco

Anche quando si viaggia fra i progetti della Fabbrica del Sorriso occorre qualche distrazione: il racconto di Anna e Fabio

Cile e Argentina rappresentano una specie di vacanza.

Interrompiamo il nostro lavoro di reporter per quasi due mesi e ci concediamo un paio di lussi. Il primo è scappare dal freddo intenso e senza speranze della Bolivia: il giorno di Capodanno lo passiamo lungo una spettacolare pista di montagna che ci porta da Puno ad Arica. 12 ore, quasi tutte su sterrato, fino alla frontiera cilena. Il secondo è raggiungere la “fine del mondo” e cioè Ushuaya: la cittadina più a sud del continente.

Il Cile, anche se è una nazione molto “sottile” è però molto “lunga”. Fra una città e l'altra ci sono sempre circa 500 km di nulla. Si corre nel deserto o, quando va bene, con il mare a destra e il deserto a sinistra. 500 km alla volta, puntiamo su Vina del Mar e Santiago. Belle città, con una atmosfera vagamente demodè e piene di interessanti distrazioni. Da Santiago ricominciamo a viaggiare sul serio. Per prima cosa dobbiamo attraversare le Ande. Ci sono diverse alternative. Noi, che dobbiamo raggiungere la mitica Ruta 40, puntiamo su San Carlos de Bariloche. Perciò scendiamo ancora verso sud.

A Puchon valichiamo le Ande fra un'infinità di vulcani, tutti con la cima rigorosamente innevata. Sul lato Argentino sembra di essere in una colossale Svizzera. Impressione rafforzata dall'architettura di San Carlos de Bariloche, affacciata su un lago alpino e costellata di case di legno, birrerie, cioccolaterie e cani san Bernardo. Ormai siamo sulla Ruta 40, che unisce la Bolivia alla Patagonia. 5000 km con rari distributori di benzina e rarissimi centri abitati. Fino a qualche anno fa, per tutta la sua lunghezza era coperta da uno strato di pietrisco grossolano (ripio) che aveva funzione drenante, in modo da tenerla aperta gran parte dell'anno anche con scarsa manutenzione. Oggi i tratti non asfaltati sono meno frequenti e concentrati nella parte sud. Perciò, fino a Rio Mayo si viaggia abbastanza bene (a parte la scarsità di carburante e di ogni altra cosa) dopo, la cosa comincia a farsi più impegnativa. I tratti asfaltati si diradano fino a scomparire e occorre avere un'autonomia di almeno 400 km.

La giornata tipo comincia alle 8. Si viaggia fino a mezzogiorno in mezzo al nulla. Più o meno a quell'ora si arriva al distributore, si fa una lunga coda, si mangia qualcosa e si viaggia fino a sera, quando compare un paesino e un'altro distributore. Dopo il primo giorno, la Ruta 40 perde ogni fascino e rimane la noia e la fatica di guidare su un fondo piuttosto infido, lungo una strada dritta fino all'infinito, senza nessun altra distrazione di qualche guanaco che salta i reticolati e rischia di ucciderti. La temperatura comincia a scendere, il cielo si abbassa e diventa grigio ferro. Così un giorno dopo l'altro, fino a Rio Gallegos. Argentina e Cile si sono divise la Terra del Fuoco in maniera piuttosto originale perciò, per l'ultimo “salto” verso Ushuaya, e per le tappe successive, occorrerà saltare da una nazione all'altra, con dogane molto frequentate e piuttosto disorganizzate.

Da Rio Gallegos alla fine del mondo ci sono circa 500 km. Poi la strada finisce (inevitabile farsi un selfie a La Pataya, il punto più a sud) e occorre tornare sui propri passi fino al traghetto che porta a Punta Arenas. Da punta Arenas, costeggiando le Ande, si possono ammirare in sequenza: Torres del Paine, il Ghiacciaio del Perito Moreno e il gruppo montuoso del Fiz Roy e del Cerro Torre. Tutti e tre valgono lo sforzo di arrivarci. Visitandoli uno dopo l'altro risalirete verso nord fino a ritornare a Rio Mayo. L'anello patagonico è chiuso e, solo a questo punto vi renderete conto di aver trascorso una qundicina di giorni in uno dei paesaggi più incredibili del mondo, al freddo, soli, senza traffico, senza asfalto, senza benzina e con il sole che non tramonta mai.

A questo punto conviene puntare verso la costa, sulla Ruta 3. Ha meno fascino della parallela Ruta 40, ma è interamente asfaltata e consente di viaggiare molto più spediti, anche perché mancano ancora 2000 km a Buenos Aires, con l'unica distrazione della penisola di Valdes, dove potrete ammirare pinguini, foche, balene e tutto quello che forse non avete avuto la fortuna di vedere in Patagonia. Mano a mano che si risale verso zone più abitate la pampa diventa meno selvaggia e finalmente arriverete a B.A. Città grande, vivace e molto amichevole. Ci si diverte, si fa tardi, i bar sono pieni e la gente fa (molto) volentieri conversazione, anche perché quasi tutti vantano un parente italiano. Dopo una sosta adeguata a visitare almeno alcune delle curiosità che la città offre, conviene proseguire verso nord. Noi abbiamo deciso di ritornare verso l'interno: Rosario, Cordoba e ancora più a Nord, nell'area di Salta. La prima colonizzata dagli spagnoli e incastrata fra Cile, Bolivia e Paraguay. Bellissima, selvaggia e poco frequentata. Da Salta ci siamo diretti, lungo 600 km perfettamente dritti, verso Corrientes e poi Asunciòn. Tutto cambia in maniera drammatica: stiamo per entrare nel bacino amazzonico.