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In Mongolia, per provare l'ebbrezza dell'infinito

Un viaggio tra orizzonti smisurati per partecipare a una festa strepitosa che sembra fermare il tempo

La Mongolia, definita la terra del cielo blu per la paradisiaca luce che definisce con nettezza forme e pesaggio, tanto apprezzata dai fotografi, con i suoi spazi infiniti, la natura intatta, i cavalieri nomadi e le carovane dei cammelli, i retaggi legati all'orda di Gengis Khan, occupa un posto di primo piano nell'immaginario di parecchi amanti dell'avventura.

Oggi il loro sogno si può avverare anche perché le sue frontiere sono state riaperte soltanto di recente. Vediamo come.

Ecco infatti una proposta legata a un itinerario molto interessante, che viene dall'operatore specializzato Apatam Viaggi. Un viaggio di 14 giorni per scoprire la terra da cui partì Gengis Khan per conquistare il mondo e partecipare alla spettacolare festa nazionale del Nadaam. Partenza prevista da Milano e da Roma il 9 luglio. Non si tratta di una destinazione adatta a tutti, ma solo per viaggiatori disposti a pagare lo scotto di enormi distanze prive di strade, di una cucina monotona e di dormire nelle gher, le capienti tende circolari di feltro dei nomadi, con tanto di mobili e stufa.

Un paesaggio cangiante - Gli infiniti spazi verdi rischiano infatti di apparire monotoni ai turisti, e privi di attrattive. In realtà questo paese, grande cinque volte l'Italia e ad un'altezza media di 1.600 m, risulta piuttosto vario, formato com'è per un terzo dal deserto del Gobi con le sue ondulate dune, da sterminate steppe desertiche, taiga e praterie ricoperte da pascoli incredibilmente fioriti e ricchi di odorose piante officinali, da montagne vulcaniche alte oltre 4.000 metri con ghiacciai e deserti d'alta quota ricoperte da foreste di larici, pini e betulle, da un numero rilevante di fiumi, laghi, vulcani inattivi e sorgenti termali.

Il centro del mondo - Una terra remota e molto antica, come attestano i consistenti giacimenti di resti fossili di dinosauri, compresi i nidi con le loro uova mai schiuse, considerati i più ricchi del mondo. Girando per queste contrade stupisce il fatto che un simile contesto ambientale nel 1200 riuscì a dare vita ad uno dei maggiori imperi dell'Eurasia. Il merito fu tutto di Gengis Khan, uno dei più geniali condottieri e politici di tutta la storia, capace di trasformare dei pastori individualisti in una invincibile armata, in grado di conquistare in pochi decenni un territorio che si estendeva dalla Cina settentrionale al mar Nero, dalla Corea alla Polonia, dall'Indocina fino alla Persia e alla Crimea. E per un secolo la Mongolia costituì l'epicentro del mondo, un crogiuolo di razze, culture e religioni diverse, meta e luogo di transito obbligato per commerci e conoscenze.

La festa del Nadaam - Se escludiamo gli abitanti dell'unica vera città, la capitale Ulan Bator, il resto dei mongoli trascorrono da sempre la vita in assoluta solitudine, mangiando ciò che producono. Ma una volta all'anno, da almeno tremila anni, il loro isolamento cessa in estate per tre giorni, dall'11 al 13 luglio, in occasione della festa nazionale del Nadaam, la festa per antonomasia, dove tutti convergono con animali e gher sulla capitale per assistere alla più antica olimpiade della storia, la festa che celebra contemporaneamente l'indipendenza, la peculiare etnia mongola e le gesta del suo figlio più famoso, di cui tutti sono orgogliosi di dichiararsi discendenti, ma anche occasione di visite a parenti ed amici, di fidanzamenti e di matrimoni, oltre che di mercato.

L'arte del tiro con l'arco - Tra canti, balli, sfilate, musica, mangiate e bevute si svolgono infatti le gare dei tre sport nazionali mongoli: la lotta libera tradizionale, appannaggio di veri giganti, il tiro con l'arco maschile e femminile, arte dove sono imbattibili, e infine la maratona ippica, una sfrenata corsa di 15-30 km con centinaia di giovani puledri montati a pelo da bambini di 5-13 anni.