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Carlo Vulpio e la sua Italia nascosta

Il giornalista celebra in un libro i gioielli segreti del nostro Paese, tra storie e arte, da scoprire o riscoprire

Città, villaggi, chiese, abbazie, affreschi, mosaici e tante opere d'arte “nascoste” nella grande provincia italiana, negli angoli più segreti del nostro Paese: è questo il grande viaggio che si compie leggendo il libro “L'Italia nascosta” di Carlo Vulpio, pubblicato da Skira.

Un percorso tra le grandi bellezze d'Italia, tra tesori sconosciuti, attraverso luoghi che custodiscono un patrimonio culturale di grandissimo valore di cui non si sospetta nemmeno l'esistenza, anche se si trova sotto gli occhi di tutti.

“L'Italia nascosta” non è una guida, ma un racconto di viaggio alla scoperta di trenta meraviglie tutte da scoprire o riscoprire. Carlo Vulpio, giornalista del “Corriere della Sera” dal 1990, è autore di inchieste e reportage culturali dall'Italia e dall'estero. Ha scritto anche Roba nostra (2008), La città delle nuvole. Viaggio nel territorio più inquinato d'Europa (2009) e Un nemico alla Rai (2012).

“Questo libro avrei dovuto scriverlo io. Mi sono distratto, e Carlo Vulpio mi ha rubato il soggetto e l'editore. Così ora io sono costretto a rileggermi per sapere dove sono stato e cosa ho visto. E Carlo, come un ventriloquo, parla al posto mio. Io mi mangio le labbra e lo maledico. Anzi: vorrei strillare. E invece lo devo ringraziare. Leggendolo mi conosco meglio, e mi ritrovo a camminare per l'Italia, mentre lui, chiuso in casa o in una stanza d'albergo, scrive per me.” commenta Vittorio Sgarbi.

“Nel suo Antica terra, pubblicato nel 1967, Bonaventura Tecchi preconizza la fine della sua Civita. Scrive che ‘è condannata: pochi anni ancora, poi la fine è sicura', poiché ‘tutto quel che è rimasto – un ciuffo di case e di mura in rovina, nere sul tufo, erette come sul vuoto – respira ormai l'atmosfera della fine'. Invece, forse proprio perché questo borgo ‘è più miracolo che cosa vera, più leggenda che realtà', Civita vive. Persino in una delle testimonianze etrusche a maggiore rischio geologico, il tunnel chiamato Bucaione, che attraversa la parte bassa del centro abitato e immette direttamente nella Valle dei Calanchi. Dove l'ultima vera minaccia alla bellezza e alla delicatezza dei luoghi non è la violenza di cui può essere capace la terra, ma quella partorita dalla mente malata degli uomini, che qui vi vedrebbero bene la scellerata installazione di venti pale eoliche alte centocinquanta metri.”