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Gli Stati Uniti piangono Cronkite

Lʼanchorman della Cbs morto a 92 anni

E' tornato per l'ultima volta nelle case di milioni di americani.

La morte di Walter Cronkite, il leggendario anchorman della Cbs, ha commosso gli Stati Uniti. E dopo 30 anni dal suo ritiro il suo inconfondibile volto che per due decenni ha guidato l'America con calma e autorevolezza attraverso guerre e rivoluzioni, tragedie e trionfi, momenti di lutto nazionale (come le uccisioni dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King) e di entusiasmo ed orgoglio popolare (come lo sbarco sulla Luna), è tornato sui piccholi schermi di milioni di statunitensi. Per l'ultima volta.

Walter Cronkite, morto venerdì a New York all'età di 92 anni, era diventato il simbolo del giornalismo televisivo in un'era, gli anni '60 e '70, in cui la tv era ancora la fonte primaria di informazione per la gente. Ogni sera venti milioni di americani (un numero superiore alla somma attuale dei Tg dei tre principali network) ascoltavano il Cbs Evening News per sapere da 'Zio Walter' cosa stava accadendo nel paese e nel resto del mondo.

Fiumi d'inchiostro sono stati versati per spiegare perché gli americani avessero così tanta fiducia in questo giornalista non bello, non brillante e non particolarmente originale. ''Era una voce di certezza in un mondo di incertezza", ha commentato il presidente Barack Obama. "Era uno di famiglia. Ci aveva invitato a fidarsi di lui e non ci aveva mai deluso''. Il suo stile semplice ma nello stesso tempo autorevole, la sua voce profonda di timbro baritonale, le sue parole misurate ma sempre efficaci lo avevano consacrato come il punto di riferimento degli americani in un'era di grandi e eventi e di grandi cambiamenti. Quando nel 1968 era stato assassinato il leader dei diritti civili Martin Luther King, il presidente Lyndon Johnson aveva lanciato un appello nazionale alla calma, nel timore di gravi disordini razziali. Ma era stato il tono calmo e misurato di Cronkite, nel raccontare dallo studio il tragico evento, a rassicurare gli americani ben più delle parole dell'inquilino della Casa Bianca.

 

La morte di Cronkite ha riportato nelle case degli americani altri momenti determinanti nella storia recente della nazione. Tra questi il contagioso entusiasmo del reporter in occasione dello sbarco sulla Luna, "Oh, Boy!" era stato il suo primo commento (durate un collegamento-maratona dove era rimasto davanti alla telecamera ben 27 delle 30 ore di diretta effettuate dalla Cbs) e la sua affermazione, dopo un viaggio in Vietnam, che la Guerra in Indocina ''non poteva essere vinta''.

Una presa di posizione che aveva convinto il presidente Johnson che la battaglia per conquistare gli americani era ormai perduta (''E' finita. Se ho perduto Cronkite, ho perduto l'americano medio''). Ma l'immagine di gran lunga più ripetuta, in queste ultime ore, è stata quella dell'annuncio della morte del presidente John Kennedy a Dallas. Una immagine ancora oggi impressionante con Cronkite che, letto il dispaccio di agenzia con la conferma della morte del presidente, lotta disperatamente per controllare la sua voce e le sue emozioni: si toglie lentamente gli occhiali, guarda l'orologio sulla parete dello studio televisivo, si rimette gli occhiali e, dopo una pausa lancinante come il dolore della nazione, riesce a trovare la forza di andare avanti. Mai come in quella occasione Cronkite è stato lo specchio dei sentimenti di un intero paese.