Rio 2016, Lilesa e il gesto delle manette:"Se torno in Etiopia mi uccidono"
La medaglia dʼargento nella maratona e il gesto di protesta contro il governo
Il pugno nero di Tommie Smith a Città del Messico 1968. E ora le braccia incrociate, stile manette, alla Mourinho. Feysa Lilesa, etiope medaglia d'argento nella maratona, non potrà tornare in patria: quel gesto mostrato a tutto il mondo sul traguardo del Sambodromo gli costerà caro. "Se torno in patria mi uccidono. O mi mettono in galera".
Perché le manette di Lilesa, ripetute e reiterate, avevano un forte, fortissimo, valore simbolico. Era uno gesto di protesta nei confronti del governo dell'Etiopia, colpevole di bersagliare la popolazione Omoro, un gruppo etnico che vive al confine con il Kenya: "Ci ammazzano, ci mettono in prigione. Le persone spariscono: molti membri della mia famiglia non ci sono più, compreso mio padre", ha spiegato Lilesa.
Il gesto delle braccia a X è quello usato dalla popolazione Oromo nelle proteste contro le forze dell'ordine. Scontri violenti: secondo Amnesty International 67 persone sono state uccise in quella regione nell'ultimo periodo.
"Non posso tornare in Etiopia", ha spiegato Lilesa. "Resto qui in Brasile e cercherò di ottenere un visto per volare in America". Arrivato come atleta dell'Etiopia, Lilesa passa
È arrivato ai Giochi da etiope, li lascia da rifugiato. "Vogliamo la pace. I paesi occidentali appoggiano il governo, che ruba la terra e ammazza le persone. Siamo disperati, ripeterò il mio gesto all'infinito".
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