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Quando l'Italia sognava con un "13", la schedina compie settant'anni

Da quel 5 maggio 1946 fino allʼalba del Nuovo Millennio, il Totocalcio avrebbe alimentato le speranze di milioni di italiani

Un Paese in "bianco e nero" che stava per scegliere tra Monarchia e Repubblica e dove gridare "Ho fatto 13!" rappresentava il sogno di una vita migliore per milioni di persone appena uscite dalla Guerra.

Era questa l'Italia che il 5 maggio 1946 fu testimone della nascita della schedina Sisal, poi trasformatasi in Totocalcio, che per decenni, nei bar e nelle ricevitorie di tutto il Paese, avrebbe alimentato le speranze di milioni di sognatori. All'epoca giocare una colonna costava 30 lire, il prezzo di un bicchiere di Vermouth. Oggi, a settant'anni di distanza, l'Italia ha un po' perso di vista quel rituale che si è ripetuto ogni sabato pomeriggio per oltre mezzo secolo in maniera quasi maniacale.

La nascita della schedina - Il mondo "originario" della schedina era un mondo dove ancora non c'erano anticipi e posticipi, le partite si giocavano sempre e solo di domenica e quando vincere poteva davvero voler dire rifarsi una vita. L'intuizione l'ebbe un giornalista sportivo triestino, Massimo Della Pergola, finito in un campo di prigionia in Svizzera in quanto ebreo. Fu lì che sviluppò l'idea di un passatempo popolare che avrebbe finanziato la rinascita dello sport italiano e fatto innamorare un Paese intero.

In principio furono 12 partite - Insieme ai colleghi Fabio Jegher e Geo Molo fondò la Sisal (Sport Italia Società A responsabilità Limitata), con una schedina di 12 partite, e i vincitori con 12 e 11 punti. Di quel primo foglietto colorato si stamparono 5 milioni di copie ma se ne giocarono appena 34mila. Per sbarazzarsi di quella montagna di carta, alla Sisal decidono di distribuire le schedine inutilizzate ai barbieri: serviranno a pulire i rasoi.

Il primo vincitore fu Emilio Blasetti, che il 21 luglio 1946 incassò 463.846 lire, grazie a una successione di sei X di fila. Dopo un iniziale scetticismo, il successo arrivò travolgente e in pochi mesi le giocate toccarono le 13 milioni di colonne, una ogni tre abitanti. L'italiano del Dopoguerra era affamato certo di calcio, ma anche e soprattutto di lire. Il successo fu talmente grande che due anni più tardi, nel 1948, il governo decise di nazionalizzare la schedina, ribattezzata Totocalcio.

Negli anni Ottanta e Novanta il Totocalcio arrivò a distribuire fino a mille miliardi di lire ogni stagione. L'anno dei record è il 1993: la vincita più alta in assoluto è quella del 7 novembre, quando tre schedine con un 13 e cinque 12 giocate a Crema, Patti Marina (Messina) e in un autogrill sulla Napoli-Salerno, regalano ai loro possessori 5.549.756.245 lire. Pochi mesi più tardi si ha il montepremi più ricco di sempre, con ben 34.475.852.492 lire. Ed è proprio lì, da quei superpremi, che paradossalmente cominciò il declino della schedina. Le cause furono molteplici: la moltiplicazione dei concorsi (sull'onda del successo erano nati Totogol e Intertoto), i montepremi astronomici del Superenalotto e la legalizzazione delle scommesse, i "Gratta e Vinci" e quell'immenso tavolo da gioco che è Internet.

Il declino - La "domenica nera" è datata 24 agosto 2003, col Totocalcio portato intanto a scommettere su 14 partite e che, complice anche lo sciopero del calcio, registra il premio più basso della sua storia, con 55mila "14" e due euro di premio ciascuno. Da allora la discesa è verticale: -10% di giocate fra il 2003 e il 2004 a 443 milioni, che dieci anni più tardi scendono a solo 39,8 milioni, fino ai poco più di 10 milioni dei primi quattro mesi 2016. Un crollo totale. Al netto dell'effetto nostalgia, il Totocalcio si può dire sia ormai solo un "dead betting walking", prossimo a raggiungere nel Pantheon del tempo altri fratelli che hanno fatto epoca, come lo storico Totip.