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Lʼombra del "guardiolismo" sullʼestetica del calcio

Prima il Barcellona, ora il Bayern: ecco come Guardiola ha plasmato due macchine perfette

L'ombra del "guardiolismo" sull'estetica del calcio

Dovesse vivere tre vite e passarle vincendo tutto quanto c'è da vincere, Luis Enrique le passerebbe comunque a rispondere tutti i giorni alla stessa domanda: "E' meglio il suo Barcellona o quello di Guardiola?". Una domanda che non ha risposta - e poco senso -, perché non fa altro che ricordare tutto sommato quanto sia ingombrante l'ombra di Pep sul suo successore e quanto, ancora, sia lunga l'onda che ha fatto scivolare il Barcellona di ieri fino a quello di oggi. La certezza, crediamo incontestabile, è che non c'è squadra in Europa, salvo ovviamente il Bayern Monaco targato Guardiola, che giochi un calcio così bello e allo stesso tempo così efficace. Che si veda concretamente o meno la mano di Luis Enrique su questo "Barça 2.0", è del tutto evidente, insomma, che questo non sarebbe mai esistito senza il suo "padre putativo".

Pep Guardiola è oggi l'unico esempio di allenatore che effettivamente contribuisce ai successi delle sue squadre. Il guardiolismo, che è solamente un modo di pensare calcio e insegnarlo, dovrebbe essere una religione per la capacità che ha di trasformare uomini normali in divinità del pallone. Non si tratta esclusivamente di consegnare la boccia a Messi aspettando che lui faccia il suo, che è un suo da marziano. E', semmai, l'esaltazione del "Sacchi-pensiero" in cui una banda di solisti da prima alla Scala sa emettere suoni perfetti e meravigliosi.

Ora: questa cosa qui, questa capacità di trasformare una squadra in una macchina meravigliosa e apparentemente senza difetti, se già ti riesce una volta nella vita è già roba da entrare nei libri di storia calcistica. Se poi però, come sta facendo appunto Guardiola al Bayern, il miracolo lo ripeti, allora non sei più un evento da raccontare, ma sei direttamente la firma sul libro, sei il libro intero.

Barcellona e Bayern Monaco sono due figli dello stesso padre. E non importa se qualcosa Luis Enrique ha poi concretamente cambiato, se i catalani oggi hanno rinunciato al pressing preventivo e asfissiante che Guardiola fa partire dagli attaccanti. E' una questione di piccoli movimenti sincronizzati e di mentalità. Il tutto, ma non potrebbe essere diversamente, messo nei piedi e nella testa di giocatori qualitativamente superiori. Ma giocatori che, senza il Guardiola di ieri e di oggi, non sarebbero forse altrettanto grandi.

Poi, certo, si può discutere di tutto. Guardiola ha perso e perderà ancora e, forse sì, il Barcellona di oggi è addirittura più forte del suo. Ma è l'estensione del suo pensiero, l'onda lunga, appunto, della sua filosofia, della sua idea, brillante, di calcio. Un calcio di tecnica e velocità o di tecnica in velocità in cui tutti i giocatori si muovono insieme, con o senza pallone, perché i cinque metri percorsi dell'uno, fosse quell'uno anche Messi, sono cinque metri che permetteranno al compagno di giocare meglio. E' un calcio che non ha nulla di scontato, di improvvisato, ma che è frutto di studio e applicazione. E' un calcio come il calcio dovrebbe essere ma che nessuno, a eccezione di Guardiola, è stato fin qui capace anche semplicemente di immaginarsi.

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