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Bosnia, tre arbitri rischiano la vita dopo un derby

Al termine della sfida tra Siroki e Sarajevo, il direttore di gara e i suoi assistenti sono stati aggrediti da un gruppo di tifosi: "Hanno tentato di ucciderci"

Bosnia, tre arbitri rischiano la vita dopo un derby - foto 1
LaPresse

Ci sono luoghi dove il calcio non è solo sport.

Nei paesi balcanici ad esempio, dove l'eliminazione dell'allora Jugoslavia dal Mondiale del '90 fu visto come l'inizio della disgregazione della Repubblica socialista e l'inizio della più sanguinosa guerra di fine secolo, football e violenza spesso si confondono. L'ultimo episodio è avvenuto in Bosnia dove, al termine del derby tra Siriki e Sarajevo, tre arbitri sono stati aggrediti dai tifosi: "Volevano ucciderci".

Sono stati attimi di vero terrore quelli vissuti da un arbitro e i suoi due assistenti al termine della gara tra Siriki e Sarajevo. Un derby, un match molto sentito, valido per l'ultimo turno di campionato, terminato 2-2 ma caratterrizzato da decisioni molto dubbie prese dalla terna. 
Così al termine della sfida, quando si trovavano ormai a diversi chilometri dallo stadio, Ognjen Valjic e i suoi collaboratori Dragon Petrovic e Sreten Udovicic sono stati aggrediti da un gruppo di tifosi. Il direttore di gara ha raccontato: "Hanno tentato a tutti gli effetti di ucciderci. Io tremavo e avevo le lacrime agli occhi per la paura". 

Le vicende che portano gli avvenimenti sportivi a intrecciarsi tristemente con quelli violenti non sono, purtroppo, una novità in Bosnia dove, nel 2009, ben 12 giocatori della squadra del Posuje erano stati arrestati per aver aggredito, assieme a un gruppo di loro supporters, arbitro e guardalinee al termine di una partita contro l'Igman Konjic.

Del resto, in Paesi come la Bosnia, la Croazia, la Serbia e il Kosovo, le curve degli stadi sono occupate da personaggi discutibili, appartenenti a vere e proprie organizzazioni paramilitari e della malavita organizzata. Non sono dunque una novità episodi di violenza legati a partite di calcio. Succede dal 1990 quando, a Firenze, un calcio di rigore sbagliato da Faruk Hadzibegic costò all'allora Nazionale Jugoslava l'eliminazione dal Mondiale per mano dell'Argentina e divenne il simbolo della disgregazione, del ritorno dei nazionalismi messi a tacere dal regime di Tito e dell'inizio della guerra più sanguinosa degli anni '90.

Da allora l'intreccio tra calcio e violenza si è fatto sempre più fitto nei territori balcanici: la storia della tigre Arkan, condannato per genocidio, è l'esempio più lampante. Željko Raznatovic, questo il suo vero nome, agente segreto in stretti rapporti con Milosevic, militare e criminale di guerra, acquistò e portò in Champions League una squadra semi-sconociuta come l'FK Obilic rompendo il monopolio di Stella Rossa e Partizan nel campionato serbo. E dimostrando al mondo come guerra e calcio potessero diventare due facce della stessa medaglia. Divenendo, infine, il simbolo di ultras facinorosi e squadristi.