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Capossela, ecco il nuovo disco: un doppio album tra Polvere e Ombra

Eʼ in tutti i negozi lʼultimo lavoro del grande artista folk: "Felice di aver mollato gli ormeggi e di essermi liberato di questa creatura..."

E' una musica che arriva dalla terra quella che compone il nuovo disco di Vinicio Capossela, "Canzoni della Cupa".

Ventinove brani che attingono "ad un patrimonio folcloristico, che ci appartiene, un bene comune", dice l'autore, "un patrimonio da scoprire, oltre l'involucro e che ci regala una sorta di rapporto primigenio con la natura, pieno di meraviglia, di bellezza ma anche di inquietudini..."

Cominciato 13 anni fa il disco, un doppio album "Polvere" e "Ombra", che arriva a 5 anni di distanza dal suo ultimo lavoro discografico, è un'opera complessa, vasta e che "richiede tempo per essere ascoltata", come spiega Capossela: "Al di là della fruizione rapida, per queste canzoni vale il principio che le ha originate, ovvero che bisogna darsi tempo perché il minuscolo si possa ingigantire in noi". 
Lui se ne è dato, quasi tredici anni per arrivare fino a qui: "Sono contento di 'liberarmi' di questa creatura: se la lasciavo lì, correva il rischio di riprodursi ancora, di diventare un trigemellare, un quadrigemellare... e già così è impegnativa da fruire". Una gestazione che ha conosciuto tappe e terre diverse. Cominciata con alcune registrazioni fatte nel 2003 a Cabras nel golfo di Oristano "una natura polverosa, che ricorda un paesaggio western, come l'alta Irpinia, la mia terra d'origine, terra di frontiera" e continuata in giro per l'Italia, ospitando, in una sorta di studio di registrazione mobile artisti della tradizione da Giovanna Marini al grande Antonio Infantino e poi Victor Herrero, la Banda della Posta, ma anche oltreoceano incontrando personaggi come Flaco Jimenez in Texas, i Calexico nel deserto di Tucson, i Los Lobos dell'altra parte dell'Oceano, tra Messico e California.

 

​ "Ero attratto dalla musica folk, ma non dal nostro, bensì da quello di Bob Dylan, dei maestri della tradizione, io cercavo una chiave di accesso, cercando di raccontare qualcosa che conoscevo da vicino. La prima chiave di accesso è stata l'opera di Matteo Salvatore, che all'epoca era ancora vivo: sono andato a trovarlo a casa sua, a Foggia. Un caro amico mi ha tradotto le sue canzoni, fatte in dialetto di Apricena, una lingua ostica, aguzza come le pietre, non facile da comprendere. Mi si è svelato un patrimonio di storie di soprusi, ingiustizie, di questo mondo del latifondo meridionale dove convive la superstizione, il lupo mannaro, il soprastante, storie che avevano le radici nell'epoca del fascismo".

La prima tornata di canzoni, quelle che vengono dalla Polvere, sono nate così, "da un giacimento di storie, dove a entrarci dentro ci si meraviglia". Da questo giacimento Capossela ho provato a sottrarre i versi in italiano di alcune canzoni, dandogli la forma della ballata. "Due violinisti francesi, un cimbalo, e io mi sono cimentato con la chitarra senza l'ausilio del pianoforte, e un contrabbasso. Questa sessione ha dato origine a questo lavoro ed è rimasta nascosta. Nascoste sono le cose che vogliamo proteggere".

Poi sono arrivate le canzoni dell'Ombra, più legate a figure mitologiche e arcaiche: "il pumminale, l'angelo della luce, la bestia del grano, sono tutti soggetti dove la civiltà della terra trova collegamento con archetipi più arcaici".

Un concept album, che vanta una confezione inedita, un bustone pieghevole "fuori misura e fuori formato... una specie di origami, che dà una serie di indizi, di chiavi d'accesso per non perdercisi dentro... perché è un territorio avventuroso". E poi c'è anche anche una versione di pregio 4 dischi in vinile: "Mezzo chilo di sostanza, che contiene una immensa foto che si dispiega come una mappa del tesoro...". Insomma un'opera sui generis, come il tour che partirà da Roma il 28 giugno, un tour stagionale, che riprende le definizioni dei due cd, "Polvere", quello estivo, "destinato agli spazi aperti, con una formazione e strumenti adatti all'aperto... e "Ombra" quello autunnale, tournée teatrale in spazi chiusi, "con gli strumenti del diavolo e con un'altra formazione destinata ai misteri e alle ombre...".

E sui generis e controtendenza è lui Vinicio Capossela, che alla presentazione dell'album cammina nervoso davanti ai giornalisti, si tocca continuamente i capelli sotto il cappello da cowboy, sosta tra una parola e l'altra, come per cercare ispirazione, per scavare nella memoria, quella memoria che è l'essenza del suo disco. Memoria della terra, del popolo, memoria dell'uomo.