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Paolo Ruffini, da Colorado a Shakespeare: "Il mio folletto lento e indolente che un po' mi somiglia"

Lʼattore e regista, al teatro Eliseo di Roma nei panni di Puck in "Sogno di una notte di mezza estate", si racconta a Tgcom24

Paolo Ruffini, da Colorado a Shakespeare:
ufficio-stampa

Tv, cinema, doppiaggio e teatro.

Paolo Ruffini è un artista poliedrico, che ha vinto la vanità di "stare al centro dell'attenzione", come confessa a Tgcom24, e si confronta con ruoli (shakespeariani) apparentemente lontani ma che gli calzano a pennello. Come quello di Puck in "Sogno di una notte di mezza estate" al Teatro Eliseo di Roma. La regia è di Massimiliano Bruno e il comico recita con Stefano Fresi, Giorgio Pasotti e Violante Placido.

Paolo, da Colorado a Shakespeare, ci racconti questo salto?
E' una soddisfazione bellissima. Il teatro Eliseo è esaurito tutti i giorni, abbiamo aggiunto anche delle repliche, e c'è una affluenza di ragazzi inaspettata. L'adattamento è di Massimiliano Bruno e rispetta la classicità shakespeariana. Ci sono anche delle innovazioni però. A partire dall'impianto scenico, il palco ricorda un circo barnum.

 

Come è stato mettersi nei panni di Puck, questo folletto così irriverente?
Intanto il pensiero che in passato questo personaggio sia stato interpretato da grandi artisti come Giorgio Albertazzi e Giancarlo Giannini mi riempie d'orgoglio. All'inizio mi faceva un po' paura. Quando ho superato il favore del pubblico e di un certo tipo di critica che forse non vedeva l'ora di massacrarmi, mi sono sentito ancora più lusingato.

 

In cosa ti somiglia?
Abbiamo un po' rovesciato il ruolo, Puck è diventato un folletto indolente, lento. Rimane spesso a guardare, si mette nei panni dello spettatore, assiste agli intrighi e agli equivoci. A volte anche io preferisco estraniarmi. Ho vinto la vanità dell'attore che vuole stare sempre al centro.

 

Fresi, Pasotti, Placido: come ti sei trovato sul palco con loro?
E' una compagnia bellissima. Si è creata davvero una intesa perfetta, ognuno di noi è molto sinergico e rispettoso del lavoro dell'altro.

Paolo Ruffini, da Colorado a Shakespeare:
ufficio-stampa

C'è ancora un certo pregiudizio nei confronti dei comici?
C'è, ma fortunatamente io sono passato da Colorado a fare il regista di cinepanettoni fino al doppiaggio. In realtà per me è tutta poesia. E non esiste poesia brutta. E' una moda tutta italiana quella di fare in modo che non solo il calcio abbia la serie A e la serie B. Io non ho mai creduto in queste distinzioni nell'arte. Dove è tutto bello. Certo, ci sono delle differenze... Però in Italia c'è un pregiudizio anche per il pubblico. Ecco, questo non mi piace.

 

Che progetti hai? Cosa bolle in pentola?
Il teatro mi appassiona, come lo spettacolo che porto sul palco con i ragazzi down. C'è però un progetto che mi sta molto a cuore, un documentario che è in lizza per i David di Donatello: 'Resilienza'. E' la storia vera, di un bambino, Alessandro, a cui a sei anni è stata diagnosticata una malattia rara ed è arrivato fino ai 14 anni nonostante gli avessero dato pochi mesi di vita. Ha vissuto con una idea sola: 'Mi voglio divertire, la vita è troppo bella'.